il reportage

Lampedusa? No: Svizzera!

Michele Masneri

Tra emergenze forse finite (forse) e tanti turisti fuori stagione (compreso Conte). Reportage dall’isola più a sud d’Italia, dove tutto funziona e trovare un migrante è difficile quanto avvistare una cartaccia  

Lampedusa. L’ultima spiaggia d’Italia non è a Capalbio ma è quella che tira fino all’ultimo giorno a fine stagione, quella più a sud, quella più calda, quella più estrema e drammatica: Lampedusa. Quella dove incombe l’emergenza, quella dove sono appena passate Meloni e von der Leyen, dove l’Europa spalanca le sue porte all’Africa. Si parte con l’idea di andare a vedere il dramma, pronti anche psicologicamente, ma chi mai oserà andare a far le vacanze nelle spiagge dove si consuma la tragedia dei migranti? Si spera anche magari, cinicamente, in qualche bella photo opportunity, delle belle stories dal disastro (Lampedusa come la nuova Kyiv) e finalmente diventare star di TikTok. Intanto non è mica facile arrivarci. Da Roma, 624 euro andata e ritorno, con scalo. Sul Ryanair Roma-Catania, coppia di americani che bevono merlot scozzese tutti contenti inseguendo la loro promessa di un “White Lotus” last minute.

 

Si prosegue con piccolo turboelica della Dat, linea aerea danese, bianco e giallo, parcheggiato accanto al gigantesco Airbus di stato della Bundesrepublik Deutschland (è il presidente tedesco Steinmeier a Siracusa con Mattarella). Il piccolo turboelica è pieno, ci sono molti stranieri, anche una coppia di ragazzi giapponesi, tutti stipati verso l’isola parco naturale che ormai da anni è simbolo dell’immigrazione, carrette del mare, e non la caretta caretta tartaruga simbolo di tutto. Si è pronti ad arrivare, spinti dai Tg, sull’isola dell’immigrato scatenato. Ma già a bordo comincia a serpeggiare un’altra sensazione. Il magazine della linea aerea danese (ma poi perché i danesi fanno il servizio a Lampedusa? Mah) segnala: “Galeone Adriana promette – live music ampio solarium con cuscineria apericena avvistamento delfini foto ricordo con pappagallo”;  Gli fa concorrenza “La Quarta Isola”, “Evoluzione futurista del concetto di imbarcazione. Un pentamarano raffinato funzionale e confortevole”. Il sindaco, il sindaco in prima linea a denunciare il dramma dei migranti, in questi giorni è stato all’Onu pure lui come Meloni ma nel magazine di bordo punta soprattutto a “destagionalizzare il turismo”. Arrivati sull’isola, ci si aspetta  un teatro di guerra. Macché.  

 

L’autista Alessandro Vitale, belloccio, tatuato, lavorava da Zara, ora vive qua, con la moglie, noleggia scooter, macchine, tutto. “Qui ci sono molti meno migranti che a Roma”, dice come se fosse la cosa più ovvia del mondo. “Non c’è paragone”. Noleggiatori invece sono ovunque, c’è anche un noleggio “ecologico” con biciclette “muscolari” ed “elettriche”, accanto a un “biocosmesi delle pelagie. Profumeria artistica” e a una miriade di ristoranti anche “gluten free” e “plant based”. Le distanze sono minime a Lampedusa (il paese è un aeroporto col paese attorno, ad arrivare in centro ci si mette sette minuti d’orologio). Da via a via, due, tre minuti. “Arrivo”, dice lui, e sta già sotto il balcone. 


Via Roma, il corso principale, è tutta un’insegna. Con trenta gradi ancora a fine settembre è tutto un vociare e sgusciare di un turismo di mezza età, soprattutto, quello delle pensioni e che vuole provare il brivido del caldo anche fuori stagione. Accenti soprattutto bresciani, bergamaschi, di Reggio Emilia. Migranti niente. Arrivando dal quartiere Esquilino di Roma lo choc è totale. Pare Losanna. Neanche un senzatetto, nessuno sbandato, strade linde. Neanche uno straccio di murales. La tanto temuta sostituzione etnica è avvenuta, è evidente, ma non è quella degli africani, che non si vedono da nessuna parte, no, è quella di bresciani, bergamaschi, reggiani (di Reggio Emilia) che affollano ristoranti e bar per apericene. A fine settembre su via Roma fiorisce il calembour delle pubblicità (“Siamo fritti”, gastronomia) in questa Florida euro-africana per pensionati baby e non.


Al gran caffè Royal aperitivo “siciliano” a 15 euro. La biblioteca comunale ha i murales (ma belli) con delle grandi tartarughe e il codice qr che puoi scansionare per veder l’animazione delle tartarughe in 3d. “Questo è il periodo migliore” dice una coppia padre e figlio di Milano che affittano una delle numerose Méhari che sfrecciano tra le spiagge e i vicoli. La libreria itinerante “Ottimo Massimo” offre volumi per bambini e ragazzi che manco a Zurigo. Cinema all’aperto, danno “Romantiche” con Pilar Fogliati. Alessandro mi porta all’Isola dei conigli, spiaggia forse più celebre dell’isola (“Ma oggi c’è scirocco, il mare è brutto, peccato”): in spiaggia si entra su prenotazione, si può stare dalle 9,30 alle 13,30, poi bisogna lasciare posto agli altri, mi spiega Maria Teresa Indelicato, giovane e bella addetta al check-in della spiaggia gestita da Legambiente. Sembra di stare a Lugano, più che al Twiga. Un Twiga con le tartarughe vere, simbolo di Lampedusa, e non le giraffe finte. “Cafferino e si scende”, dice un gruppo di lombardi sui cinquanta. Viene il dubbio che tutte queste regole le abbiamo fatte per i nordici che così si sentiranno a casa. Migranti comunque sempre niente. “Ma questo è il posto con meno immigrati non solo d’Italia, del mondo”, dice Indelicato che legge un libro in spagnolo, comprato su Amazon, “certo, perché non dovrebbe arrivare?”. “Io ho abitato a Padova, lì si che c’erano, lì sì che la sera avevo paura a tornare a casa sola. Qui mai”. Non che sia il paradiso in terra, Lampedusa, “per esempio abbiamo molti problemi con la sanità. Se devi partorire, devi andare in continente”. 


Mi sposto a Cala Francese, incantevole baia dove Silvio Berlusconi, nell’altra grande emergenza migratoria che si ricordi, quella del 2011, fece una delle cose che gli riusciva meglio, comprare case. Acquistò la famosa “Villa Due Palme”, che non si chiamava così ma serviva qualcosa di altisonante. Disse tipo “Ich bin ein berliner”, ma qui ein lampedusaner, ma come Kennedy non ci andò mai a vivere. La casa non è nemmeno niente di che. “Era rimasta invenduta per anni, costava troppo per l’isola, che era meta di un turismo della classe media con il miraggio del sud e delle isole. Lampedusa costava poco. Non era Salina o Panarea o Pantelleria”. “La comprò in fretta e furia, non c’era molta offerta, prese semplicemente la più cara dell’isola”, raccontano. Si favoleggia un milione e mezzo, versati al proprietario barone Pietro de Stefani. Forse è molto meno. Così questa villetta è diventata “Villa Due Palme”, manco la Kauffmann House a Palm Springs. Villetta appunto con due alti palmizi davanti, in questo mantiene la promessa, ma con accesso proprio sulla spiaggia, piena di bagnanti nordici che leggono molti Sellerio.

 

La portoncina di legno davanti ha due sdraio. Lo sapete che questa è casa di Berlusconi, chiedo alla coppia di mezza età sdraiata sui lettini. Nessuna sorpresa nell’estraneo che fa domande. Anzi, domesticità col giornalista. Del resto l’isola ne è piena. “In hotel da noi solo reporter esteri. Sta registrando, caro?” “Ah, pensavo fosse quell’altra la casa di Berlusconi”, dice Caterina, signora chic veneziana. Con gioielli sobri. “Siamo venuti in barca due anni fa e continuiamo a venire”. E’ informatissima. “Sì, il Silvio non è mai venuto, so che viene Barbara, viene il Luigino”. Che effetto fa stare al mare in un posto in emergenza migranti?  “Effettivamente fa impressione”, dice. “Ci hanno mandato un video, guardi”. Mi mostra sul telefonino a portafogli un video preso da qualche social che inquadra l’hotspot di Lampedusa dall’alto, con la musica di Italodisco dei Kolors. “E’ terribile, non trova?”. “Però in giro per l’isola non si vedono, i migranti, tranne pochissime eccezioni”. Continuerete a venire? “Certo. Perché qui si sta bene. E’ tutto semplice. Tutto basso profilo, o mio Dio, com’era la Puglia all’inizio. Ma è colpa nostra che li facciamo diventare cari i posti, guardi la Croazia! E ora pure l’Albania. Ma qui si sta bene perché non ci si deve vestire, né pettinare. Piuttosto, da Spritzando c’è stato? Ma come no, giù di là, è il miglior tramonto dell’isola. Certo un po’ caro, ma ormai è tutto caro”. Al chiosco sopra, dove pago la mia Coca-Cola 3 euro con un pos perfettamente funzionante,  confermano: Berlusconi c’è venuto solo un paio di volte, semmai si son visti i figli. Poi Salvini. “Comunque c’è un giardiniere che tiene sempre tutto in ordine”. La vecchia mania dei giardini del Cav. Nel 2011 è l’altra grande emergenza, chissà se anche allora erano due mondi così separati, il mondo dell’emergenza non incontra mai quello dei turisti. Che sono tantissimi. “E ora non è niente, doveva vedere in agosto”, mi dicono nei vari ristoranti e bar. 

 

Su via Roma una troupe intervista un baldo giovane locale su uno scooter. Sono i due giapponesi che stavano sull’aereo. Quindi non erano asiatici in cerca di emozioni sicule. No, sono una tv di Tokyo. Ma che vi frega di Lampedusa? “E’ l’emergenza migranti, ci interessa moltissimo, è una news europea”, dicono. Anche se di migranti non se ne vedono. “Se volete la faccio anche in inglese l’intervista”, fa il local assertivo. E parla un inglese perfetto. “Be’, noi tendiamo ad andare all’estero, qui non ci sono molte occasioni di lavoro”.  

 

Sul corso principale c’è movimento, intanto. Davanti a un centro estetico e sotto una colonna di Arnaldo Pomodoro (gloria locale, tutta l’isola è costellata di cippi di Pomodoro), Polizia e Carabinieri e tanti turisti. Dietro, striscioni con scritto “Lutto cittadino!”, che sembra fuori luogo, fuori sincrono. Nella folla dei pensionati ci sono anche sparuti punkabbestia. Un relatore dice che contro la minaccia di trasformare l’isola in un “centro di detenzione per migranti” faranno “la nuova intifada”; timidi applausi. Mentre si fa lo struscio  le bancarelle espongono la merce. Collanine di ceramica, magneti a forma di tartaruga. Sulle poltrone di vimini del bar si affolla questa mezza età brizzolata che non è né ricca né povera, una grande middle class in attesa di qualcosa. Dice che viene Conte oggi. Sì, sì, fa un altro, invece la Schlein viene il 27. Prima ci son state Meloni e von der Leyen, tipo superospiti. Sul palchetto del Royal c’è scritto “ogni sera musica dal vivo”. Un signore simil Briatore però più sobrio fa: “Ieri sera c’erano le cover dei Pink Floyd”, oggi Conte. Non Paolo Conte, ma Giuseppe Conte.

 

Eccolo, con codazzo e scorta che neanche Biden. Cantante confidenziale, col vocione, e il capello corvino che scintilla nella controra. Un po’ sottotono, provato dal caldo. Rimpiange quei weekend quando “si parlava con Macron e Merkel in segreto, non si strombazzava tanto le cose in giro come adesso”. La butta sul bon ton. “Non si va in casa d’altri con i soldi in mano!”, dice, è la sua versione della diplomazia mediterranea. Poi di nuovo  ricordi. “Ah, quando eravamo a Chigi. A Chigi ci sono ottimi diplomatici sapete? I migliori del mondo”. Poi, botta all’orgoglio locale. “I vostri mari sono pescosissimi. Le vostre alici sono le migliori del mondo!”. E non dice alici, attenzione, dice, col suo vocione, le aligi anzi le alisgi in un vortex di sensualità. Molte signore sospirano. Dice anche che oggi ha preferito pranzare in casa di una vera famiglia lampedusana e non andare al ristorante, è stato infatti da un’anziana che ha sfamato dei migranti qualche giorno fa. Ha preferito “l’indimidà”, dice. Insomma alisgi e intimidà, roba da tirargli le mutande addosso, però non succede. Il pubblico alla fine non esulta. “Ma tu sei una bimba di Conte?”, scherza una cameriera sul corso a un’altra. “Manco morta”. “Ha distrutto l’Italia col reddito di cittadinanza!”. “Troppi lazzaroni!” dice una signora con accento veneto. Insomma i lampedusani veri e acquisiti di passerelle son esperti, ne han visto tante. Chissà se Schlein farà meglio. Meno male che domani c’è la festa del paese. Appeso al municipio di fronte un poster di uno show, “I Respinti”, “Felice e Vanessa Comedy Show direttamente da Sicilia Cabaret”. I turisti di Bergamo e Reggio Emilia son qui e aspettano un intrattenimento, come uno di quei convegni a cortina o a Capri, gli incontri con l’autore per alleviare la noia della villeggiatura. 

 

Torno nel bed and breakfast, pareti spugnate, mobili Ikea, 84 euro a notte, mica poco. Accendo la tv e improvvisamente ecco la Lampedusa che ci si aspetta. Meloni all’Onu. Hotspot. Emergenza migranti. Trafficanti di morte. Lampedusa nuova Ellis Island. Sembra proprio un altro mondo. Forse stare a Lampedusa è come prendere la casa brutta del paese. Per non vedere la casa brutta del paese, l’unico modo è abitarci dentro. L’unico modo per non vedere i migranti è stare a Lampedusa. Il giorno dopo allora vado al porto dove c’è la nave che li riporta, i migranti, verso gli altri centri, soprattutto Porto Empedocle. Al porto, passano soprattutto camion con sopra dei barchini accatastati. “C’è tutto un indotto. Perché i barchini con cui i migranti arrivano vanno smaltiti. E in mare ci sono detriti di ogni genere, motori, remi, qualunque cosa”, mi raccontano. Le grandi pulizie che precedono “le passerelle” dei politici sui fondali non arrivano. Il mio autista dice che il migliore a fare le passerelle a Lampedusa è Salvini, che è venuto, gli hanno apparecchiato tutto, ripulito tutto, come sempre succede, ma poi è tornato due giorni dopo, tipo ispettore della guida Michelin. Sul porto, qualche collega, fotografi, cameramen, di nuovo i giapponesi. “Mannaggia, oggi migranti pochi”, fa uno. “C’è mare, non arrivano”. C’è scirocco, conferma un cronista, con la stessa delusione dei bagnanti (c’è scirocco, non si può fare il bagno…).

 

Poi arriva un mezzo della Croce Rossa e ne scarica qualcuno proprio sotto la nave Galaxy, che li porta a Porto Empedocle. “Vite, vite”, dice in francese un’addetta della Croce Rossa. Tutte le telecamere puntano sul gruppetto, che viene trasferito sulla nave. I giornalisti sono delusi, son pochi. Maledetto scirocco. “Ah, sei stato alla villa di Berlusconi, io l’ho fatta ieri”; mi dice un cameraman. “Col drone, sai, quando non sai che fare il drone funziona sempre”. Un altro mi dice: ma sai che quasi quasi io mollo tutto, vengo a vivere qui e mi metto a fare il fixer. Alla parola fixer arriva anche un altro giornalista. Tutti sono in cerca di un fixer su Lampedusa – “ma è quello che fa anche il giocoliere di strada?”, dice un terzo collega. Pare ci sia questo mitologico fixer nella chat dei corrispondenti esteri, che si scambiano informazioni. Il fixer è quella figura che ti porta nei posti, ti aiuta con gli hotel e i ristoranti, ti fa parlare con la gente, insomma risolve problemi. Ma il fixer non si trova. “Ma che ci fai, qui”, trovo una collega. “Pensavo che ti occupassi solo di…”. Cazzate. “No, insomma, cultura, società, ecco”. Vabbè. C’è una temibile collega di Rai News 24, Angela Caponnetto, che sa tutto, lei è seria. Tutti chiedono consigli a lei perché è l’unica che riesce a scovare dei migranti per intervistarli. 

 

I migranti, mi spiegano, stanno rinchiusi nell’hotspot, che è un centro di smistamento.  Fino a quando sono 3/400 va bene, quando diventano un migliaio come nei giorni scorsi è un problema. Il tutto è gestito in maniera super efficiente, per cui gli isolani manco si accorgono normalmente dei migranti. E’ come quelle città che ospitano razionalmente discariche (si perdoni il paragone cinico) o centrali nucleari, avendone tutti i benefici e pochissimi svantaggi. Intanto i colleghi seri mi dicono che alle 16 c’è un “punto stampa” all’hotspot, appunto. Intanto: “Vieni, ti porto io a vedere una villa bella veramente, mica come quella di Berlusconi”, mi dice Alessandro, che a quel punto promuovo fixer sul campo. “E’ quella di Baglioni”. Baglioni infatti è il genius loci dell’isola, sta qui molti mesi, ha una casa stupenda, per dieci anni ha tenuto un festival musicale. E che fa, chiedo io, per dire così in generale. “Verso quest’ora di solito sta ancora in barca, poi torna, attracca proprio lì”, mi fa vedere, è un fan scatenato, ha anche la foto con Baglioni nell’immagine WhatsApp. 

 

Ma tocca andare all’hotspot. Arriviamo a delle alte cancellate, mezzi della Polizia e Carabinieri e Croce Rossa ovunque. Ma soprattutto giornalisti, tantissimi giornalisti, telecamere di ogni risma. Tg2 e poi una corrispondente della tv turca, una troupe inglese della Bbc, la tv spagnola, Al Jazeera (che parla in arabo con Amir,  inviato della Bbc). La spagnola Efe. Finalmente un nero, aggrappato al cancello. Sei un migrante? “No, sono del programma francese Quotidien, e tu? Sai dove mangiare un vero ristorante siciliano?”. Ci vorrebbe un fixer. “Hai detto fixer? C’è un austriaco che cercava un fixer, o forse era un fixer austriaco”. Quelli della Bbc sono un po’ scottati e hanno un ragazzo che traduce per loro. Sei un fixer? “No, lavoro con la Bbc, prima stavo alla Cnn ma hanno tagliato tutti i costi”, dice con accento romano. Dice che gli inglesi poi vanno a fare il bagno, quando gli ricapita. “Un’umidità così solo nelle Filippine l’avevo sperimentata” dice una addetta. Voi che siete seri, a proposito, perché sono le linee aeree danesi che collegano la Sicilia a Lampedusa? “Perché sono le uniche che presentano offerte al ribasso”. “Non gli puoi mettere il microfono sotto il naso se li incontri in giro”, spiega una cronista di vaglia, istruendoci su come intervistare gli eventuali migranti. Il Tg2 al portavoce della Croce Rossa: “Allora possiamo dire che l’emergenza è finita?”; “Be’, non proprio…”. “Ma oggi non arrivano, dunque è finita”. “Finché c’è scirocco sì, non arrivano”, ribatte lui.  “Allora l’emergenza è finita”. Torno in paese, c’è la banda che suona e di nuovo è l’ora dell’aperitivo, oggi c’è di nuovo la musica dal vivo. Le strade sono piene, il mercato immobiliare tiene, il prezzo medio al metroquadro a Lampedusa è di 2.434 euro con un aumento dell’1,12 per cento rispetto al 2022.  Magliette col simbolo della tartaruga ovunque.  Il popolo dei possessori di smartphone con la custodia a portafoglietto si scatta selfie storti, fa videochiamate ai figli rimasti a Verona. La classe media Android attende la prossima passerella, bisogna aspettare Schlein il 27. Fino ad allora, per vedere un po’ di dramma bisogna tornare in camera e accendere la tv. 

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).