“Ogni giorno ho temuto quella telefonata”, dice il padre Franco Cutolo. Lo scuorno di Napoli, il cordoglio in musica in un piazza piena e commossa. Ora che non c'è più, l'immagine di Giovanbattista è dappertutto
Non è vero ma ci credo. Per i napoletani il corno è un amuleto di bonaria tradizione, però da alcuni giorni – non fosse mai successo – la prima cosa che questa parola risveglia nella mente è lo strumento musicale. Tesse in orchestra le armonie e da solista affascina con la sua voce, come certe persone che poco si notavano ma se hai ascoltato vorresti risentire. Peccato che talvolta non si possa più. Questa, per Giovanbattista Cutolo detto Giogiò, non è solo metafora. A quello strumento peculiare, molto meno popolare della chitarra o del sassofono, aveva dedicato gran parte dei ventiquattro anni concessigli dal destino, se destino chiamiamo l’estro del balordo che lo ha ucciso con tre colpi di pistola. Per frustrazione, vanità, demenza criminale. Per punirlo, poiché aveva tentato di fermare il gruppetto di provocatori che avevano aggredito i suoi amici in una paninoteca. Ma a dirla in breve, manca a questo assassinio un degno o indegno perché.
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