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No, le Maldive no: il turista è un lavoro che non vogliamo più fare

Michele Masneri

Rialzi di prezzi. Hotel triplicati. Balneari impazziti. Forse la fine del mondo è vicina e i balneari lo sanno. Tra TikTok, disservizi e meteo instabile è ora di appendere lo zaino al chiodo

Coraggio, ci siamo quasi. Manca il giro di boa di Ferragosto e poi possiamo dire che le vacanze si avviano  finalmente al termine. Mai come quest’anno sono state faticose, ansiose, incerte. L’uomo non è fatto per vivere alle prese con l’instabilità. Prima quella climatica: ecco il luglio più caldo della storia, poi l’agosto più fresco, o almeno freschetto. Il meteo ha dato forfait. Poi, instabilità turistica. L’Italia, si diceva, è in preda all’overtourism. Venezia e Roma e le nostre belle coste piene zeppe. Come faremo? Vengono tutti qui. Poi no, contrordine, ecco il crollo delle presenze. E poi, noi over-turistizzati, dove possiamo mai andare a turistizzare a nostra volta? Vogliamo andare dove ci sono pochi turisti, cioè non vogliamo vedere noi. Oppure, va bene tanti turisti ma carini, a modo.  


Mica facile. Mode e posti cambiano in un batter d’occhio. Il turista ormai deve comportarsi come un broker di Wall Street. Il turista è diventato sensibilissimo, registra tutti gli scarti del mercato delle vacanze, ogni movimento del costume e del comune desiderio. Compra e vende i future sulla villeggiatura come un Gordon Gekko di Expedia. Quotazioni salgono e scendono istantanee. 

 

Certo, va detto che l’estate si era aperta assai poco dolcemente coi turisti americani più dementi di sempre, quelli affondati nel loro sommergibile turistico, un segnale sinistro, un terribile presagio. Poi ci sono stati scrittori in completo di lino stropicciato che hanno subito molestie in treno, e scrittrici che sono finite in overbooking. A Positano una povera editrice americana è stata falciata dalle eliche di un gozzo impazzito e cocato. Ecco, Positano è ormai simbolo globale dell’overtourism: dai Leoni ai tiktoker al sole. Troppa gente, troppe scale, troppa poca visuale instagrammatica per tutti gli smartphone presenti; è un lavoro andarci, dicono giustamente i tiktoker (che però fanno questo di lavoro, dunque non torna il ragionamento). 


Rialzi di prezzi. Hotel triplicati. Balneari impazziti. Forse la fine del mondo è vicina e i balneari lo sanno, forse sono in contatto con gli Ufo. A proposito, ma le lobby cosa faranno in vacanza? La lobby dei tassinari come si porrà nei riguardi dei lettini triplicati dalla lobby dei balneari? Avranno dei protocolli di intesa tra lobby? In Liguria, in attesa dell’alta velocità con Milano si adeguano, facendo pagare l’affettamento del tramezzino. Eppure continuiamo nel nostro lavoro di turisti, e non siamo nemmeno tiktoker. Non c’è un movimento per smetterla, come esiste per il lavoro. Non ci sono grandi dimissioni da turisti, né scrittori che fanno saggi sul perché la vita sia troppo preziosa per fare i turisti. 


Dunque, zaino in spalla. Le isole greche cambiano di moda più del meteo, tutti ad Amorgòs, però con una tappa prima ad Atene, che certo ormai è un po’ overtourism. Dopo, un salto a Pantelleria anzi a Filicudi. Salina niente. Stromboli revival (chi ci va però si pente). Napoli benissimo. Come Atene, poi via verso le isole. Il Giappone pure bene, anche se caldo.  Islanda. Tutti in Islanda. E’ l’anno dell’Islanda. Prima però una settimana in Puglia, ma non la Puglia del Salento;  tipico posto da overtourism, seppur riflessivo (“ho comprato un palazzetto del Seicento intero a diecimila euro”; sì, ma non puoi mai uscirne, perché fuori ci sono diecimila gradi e diecimila turisti sulla spiaggia di sei metri per tre). Bene  la Puglia del nord. Meloni col solito fiuto a Borgo Egnazia. Underdog & undertourism.   

 

Dubbi atroci. Ma Patmos va ancora bene? E Antiparos? E Mikonos? Mikonos quest’anno zero. Sei stato in California? Ti consiglio di prendere la macchina. Il turista che torna dall’estero saputo: lì non accettano più il cash, altro che pos.  Aeroporti incendiati. Biglietti lievitati. Lanzichenecchi. Il ministro Urso indaga sull’algoritmo che fa salire i prezzi. Ryanair smentisce l’algoritmo. Intanto ecco sempre nuove mete, niente viene risparmiato. Un’intelligenza non si sa se umana o artificiale draga il globo senza sosta alla ricerca di nuovi luoghi da esplorare. Muore nel frattempo Marc Augé, il teorico dei non luoghi. Dài, è quasi  finita.

 

Quando ce l’abbiamo quasi fatta, quando è ora di smontare l’ultima valigia, ecco che il più esperto di tutti dice: ma come, non sei stato in Albania? Noi siamo stati in Albania, siamo stati benissimo, costa pochissimo. Sono le Maldive d’Europa. I  più anziani subito si ricordano gli sbarchi trent’anni fa e il ballerino Kledi e quando “albanese” era una parola bruttissima. Adesso invece sono le Maldive d’Europa. Ma che vuol dire poi? Le Maldive erano carissime. Ha più senso dunque  le Maldive del Salento (carissime, appunto). Ma alle Maldive, ci sarà qualcuno che dice “La Ladispoli delle Maldive, la Cisternino delle Maldive?”. E alle Maldive vere, ci andrà ancora qualcuno? Negli anni Ottanta i meno abbienti ad agosto si chiudevano in casa, dicevano a tutti d’esser partiti, abbassavano le serrande e chiedevano ai più fortunati di mandare cartoline a loro nome dalle Maldive.  Avevano capito tutto.
 

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).