l'intervista

L'Italia del no è con l'acqua alla gola. Parla il geologo Fazzini

Ermes Antonucci

"La spinta ambientalista all’interno della politica emiliano-romagnola è stata talmente forte che non ha permesso di far nulla", dice al Foglio Massimiliano Fazzini (Società italiana di geologia ambientale). “Non si può dire di no a tutto, altrimenti in dieci anni saremo rovinati”

“L’Emilia-Romagna è da sempre all’avanguardia nella ricerca ambientale. Il problema è che negli ultimi dieci anni dal punto di vista infrastrutturale non è stato fatto nulla, tanto che il territorio è quello mediamente a più alto rischio idrogeologico. La spinta ambientalista all’interno della politica emiliano-romagnola è stata talmente forte che non ha permesso di far nulla”. Lo dichiara al Foglio Massimiliano Fazzini, responsabile del team Rischio climatico della Società italiana di geologia ambientale. 

 

Secondo Fazzini, geologo e docente di Rischio climatico all’Università di Camerino i primi dati a disposizione sulle precipitazioni in Emilia-Romagna “ci consentono di parlare di eventi eccezionali dal punto di vista meteorologico”: “In alcune zone tra Faenza e Forlì, tra l’evento del 2-3 maggio e quello delle ultime ore sono caduti 500 millimetri di pioggia, che rappresentano il 70 per cento della precipitazione media annua. Questo ci fa capire che la prima metà di maggio sarà sicuramente ricordata come eccezionale”. L’eccezionalità dell’evento, tuttavia, non deve impedire di riflettere su quanto è stato fatto (o non è stato fatto) sul piano della prevenzione dei rischi.

 

L’unica struttura che aveva cominciato a occuparsi seriamente del problema era Italia Sicura, la struttura di missione per la riqualificazione dell’edilizia scolastica e il dissesto idrogeologico, ma è stata cancellata”, afferma Fazzini. “Adesso il nuovo governo sembrerebbe aver cambiato un po’ le cose. E’ stata fatta la rilettura del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, bloccato da sette anni. Ora però si devono fare i passi decisivi sul piano infrastrutturale”.

 

“Non si può sempre dire di no a tutto”, aggiunge il geologo. “Con questo nuovo clima bisogna regimare i corsi d’acqua, laddove occorra anche con opere impattanti sull’ambiente, ma sempre nel rispetto di quest’ultimo”, dichiara Fazzini: “Ad esempio, con l’invaso di Ridracoli, nel cesenate, si è risolto il problema dell’approvvigionamento idrico di cinque milioni di abitanti che d’estate popolano la riviera romagnola a scopo turistico. In altre parole, quando occorrono le opere bisogna farle. Non è che andiamo a tagliare cinquanta chilometri di bosco o andiamo a mettere a repentaglio la vita della gente”.

 

Per l’esperto, dunque, “dobbiamo adattarci e cercare di ridurre al massimo delle nostre potenzialità, tenendo conto dell’ambiente, il rischio effettivo, facendo sì che il rischio residuo sia il più basso possibile. Il rischio zero non esiste, purtroppo. E quindi: dove serve un’infrastruttura grande bisogna farla, dove è sufficiente un’infrastruttura piccola si interviene con l’infrastruttura piccola. Ma bisogna muoversi. Non si può dire sempre di no a tutto, perché altrimenti nel giro di dieci anni siamo rovinati”. “Il 94 per cento del territorio italiano è messo come la pianura emiliano-romagnola – prosegue Fazzini – quindi i fondi del Pnrr andrebbero maggiormente destinati a opere finalizzate a contrastare il rischio idrogeologico”. 

 

Tutto ciò chiama ovviamente in causa la politica. “Negli ultimi mesi – afferma Fazzini – ci siamo confrontati con i ministri Fratin, Salvini, Lollobrigida. Sono tutti favorevoli alle grandi opere. Il problema è che poi a gestire i soldi sono le regioni e spesso, nel momento in cui il segno politico della regione è opposto a quello del governo, si blocca tutto”. Eppure, “l’adattamento al rischio” è la chiave fondamentale, “altrimenti continueremo a contare ogni volta morti su morti”, conclude il professor Fazzini.

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