(foto Ansa)

Funivia, tragedia e bellezza

L'incanto precipitato

Stresa e il Mottarone, i "luoghi immaginari" di Piero Chiara

Maurizio Crippa

Dalla Belle époque alle gite della domenica del popolo del Boom, le isole del Lago Maggiore e la montagna "da cui si vedono sette laghi" sono parte dell'immaginazione e della memoria degli italiani. Almeno lombardi e piemontesi. Luoghi della bellezza assoluta, per questo la tragedia colpisce ancora di più

"L’autore che dispone finora di un solo luogo nel quale gli riesca di ambientare le sue invenzioni, tiene a precisare che di quel luogo, caro e prediletto, ha fatto una pura astrazione” e che dunque ne fa uso “semmai per affezione a un paesaggio e a un angolo di mondo limitrofo”. Con una nota postscritta alla fine di tutti i suoi romanzi ambientati sul Lago Maggiore (cioè quasi tutti), Piero Chiara teneva a precisare che quei luoghi, con nomi e cognomi, erano per lui soltanto astrazione di fantasia. Peraltro lui era luinese, ancorato alla sponda magra del lago opposta a quella principesca di Stresa. E annotava, serissimo come davanti a un notaio: “Preciso che Luino non deve essere cercata nelle carte geografiche ma in quell’altra ideale geografia dove si trovano tutti i luoghi immaginari”.

 

Un luogo invece non immaginario, ma che pure fa parte dell’immaginario di lombardi e piemontesi. Un luogo d’affezione, un po’ Belle époque e un po’ cartolinesco, ma che è stato baciato domenica, all’ora dei panini al sacco, dalla maledizione. Da una di quelle maledizioni postmoderne che sembrano fatte apposta per lo spavento di massa. La sciagura che sfregia un’icona che tutti una volta hanno visto, almeno in cartolina. La morte che irrompe in un paesaggio che è un passato di favola. Fatta apposta per un fugace pensiero, subito rimosso: “Su quella funivia potevamo esserci noi”. Noi piemontesi e lombardi, quantomeno: ma c’era una famiglia che s’era fatta milanese da Tel Aviv e voleva scoprire questa meraviglia, la montagna da cui si vedono i sette laghi. E c’era un fidanzato venuto dall’Iran per interposta Roma e per rivedersi, dopo le regioni rosse e le regioni chiuse, avevano deciso per quella cartolina. La cartolina che da Stresa, se girate le spalle alle Isole, a quelle tre gemme incastonate nel turchese, quando è bello, o nel verde grigio quando fa brutto, sale su verso l’alto. Verso la cima del Mottarone. A un passo, a un minuto, a un tiro di fune della funivia. 

 

Stresa, la salita in funivia (ma i più gagliardi in bicicletta, o a piedi) al Mottarone sono i luoghi di un piccolo Eden a portata di vacanza esclusiva, o a mezza pensione minore. I luoghi di una gita domenicale sempre quella, sempre diversa. Del resto, il trenino a cremagliera spinto dal vapore che da Stresa portava in cima al Mottarone è un sogno che nasce ancor prima della Belle époque, presentato poco dopo l’Unità d’Italia nei saloni del nuovissimo e lussuosissimo Grand Hotel des Iles Borromées. Ci volle tempo, ma l’opera ardita iniziò a sbuffare nel 1910, inaugurando una tradizione di escursioni dal lago alle cime che non si sarebbe più fermata. Almeno fino a cinquant’anni fa. E del resto l’autostrada dei Laghi, che arrivò al Maggiore a metà degli anni Venti, la volle il duce, perché da quella strada sarebbero passati commerci e industrie, ma sarebbe decollata anche la vacanza fuori porta dei lombardi. E quando l’epoca d’oro di re, regine, principi e grandi scrittori come Hemingway finì, la sponda bella del lago, con l’immancabile escursione in cremagliera a vedere il panorama dei sette laghi – oltre al Maggiore, quello di Varese, di Monate, di Comabbio, di Biandronno, di Mergozzo e d’Orta – divenne la gita degli italiani del Boom, del treno locale che da Milano le faceva tutte o quasi, per andare a prendere il battello per il giro delle isole o la salita alla montagna magica: quella che dal 1970 era stata sostituita dalla futuristica funivia. La cabina delle delizie che è venuta giù domenica, all’ora del pranzo al sacco.

 

Vista dal Monte Mottarone (foto Unsplash)

 

Ci sono migliaia di posti così, in Italia e nel mondo. Luoghi che fanno parte di una “ideale geografia dove si trovano tutti i luoghi immaginari”; luoghi di una gita del primo amore, della solita scampagnata di famiglia, appena torna la stagione; dove portarci (un’ultima volta ancora) i nonni. Ma di tutti questi luoghi, sulla sponda del lago che Piero Chiara guardava da lontano, sornione come un vitellone d’acqua dolce, come a uno dei tanti scenari delle sue storie, l’incanto della gita a Stresa e della funivia che in pochi minuti passa dall’acqua alla neve, dai fiori alle rocce, è fra quelli che sono incastonati nel mito. Per lombardi e piemontesi, per generazioni di gite nel posto più bello che c’è. Così fa ancora più male, quella tragedia e quella caduta. Anche chi non c’era ha sentito una ferita, in un suo luogo immaginario.

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"