Monnezza Capitale. Perché Roma non sa più dove mettere i rifiuti

Gianluca De Rosa

È dal 2013, da quando venne dismessa la discarica di Malagrotta, che a Roma ci sono state solo chiusure di impianti senza che si iniziasse a realizzarne di nuovi. Tutte le tappe di un'emergenza continua

Nuovo casino, nuove minacce. Con un’ordinanza di dodici pagine ieri il governatore della Regione Lazio Nicola Zingaretti ha imposto a Roma Capitale e all’Ama, la municipalizzata dei rifiuti, di trasmettere entro 30 giorni “un piano impiantistico che dimostri l'autosufficienza del Comune in termini di trattamento, trasferenza e smaltimento”, di sottoscrivere accordi per l’invio all’estero dei rifiuti e di chiarire le intenzione dell’amministrazione capitolina sul futuro dell’impianto di trattamento dell’indifferenziato Tmb di Rocca Cencia. In caso d’inosservanza, si legge sul provvedimento “saranno adottate in via sostitutiva dalla Regione tutte le iniziative necessarie". Tradotto: il comune verrà commissariato. Una storia già vista, frutto delle evoluzioni degli ultimi giorni. La settimana scorsa la Mad Srl, società proprietaria dell’impianto, ha comunicato che la discarica di Roccasecca, la più grande delle sole tre rimaste in regione, non può più ricevere rifiuti. E Roma così è di nuovo sull’orlo dell’emergenza. Per trovare alternative, Ama, la municipalizzata dei rifiuti capitolini, ha chiesto alla regione di poter aumentare i propri conferimenti al suo impianto di trattamento dell’indifferenziato a Rocca Cencia.

 

Il ciclo dei rifiuti, infatti, funziona come un sistema di vasi comunicanti: la chiusura della discarica impedisce ad altri due Tmb (quelli di E. Giovi a Malagrotta) di lavorare l’indifferenziato: gli scarti del trattamento infatti vanno conferiti in discarica e E. Giovi, per contratto, li inviava proprio a Roccasecca. Il Campidoglio però in una riunione con regione e prefettura ha smentito la sua municipalizzata. Nessun conferimento in più a Rocca Cencia, anzi il Campidoglio ha intenzione di chiedere alla Regione la revoca dell’Autorizzazione ambientale per l’impianto di Ama con l’obiettivo di chiuderlo al più presto. E così Roma sarebbe senza discariche e senza impianti. Andiamo con ordine.

  

Lo smaltimento dei rifiuti nella Capitale

Roma in anni normali – senza pandemia – produce circa 1,7 milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani (il dato è del 2019), circa il 57 per cento del totale del Lazio, che diventa quasi il 78 se si aggiunge la provincia. La raccolta differenziata nella Capitale si attesta poco sopra il 45 per cento, il resto, 923mila tonnellate, sono indifferenziato, rifiuti che devono essere prima lavorati dagli impianti di trattamento meccanico biologico (Tmb) che dividono l’umido dal secco, e poi inviati o all’incenerimento o in discarica. Roma, inoltre, produce 253mila tonnellate circa di rifiuti organici. L’umido, deve essere smaltito negli impianti di compostaggio, di cui la città soffre una storica carenza (l’unico impianto di proprietà di Ama a Maccarese riesce a trattare meno di 20mila tonnellate l’anno). Il resto viene spedito fuori regione, con costi che fanno della Capitale una delle città più care d’Italia: 256 euro annui per abitante. Alla mancanza dei compostaggi si è aggiunta la progressiva dismissione di discariche e impianti di trattamento dell’indifferenziato che ha creato una situazione sempre più insostenibile.

 

Perché, dunque, Roma non sa mai dove mettere i suoi rifiuti? Semplice, dal 2013, quando venne dismessa la discarica di Malagrotta, ci sono state solo chiusure senza che anche solo iniziasse la realizzazione di nuovi impianti. Ecco cos’è accaduto tappa per tappa.

 

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