Cosmopolitics

Il mistero sgargiante di Kyrsten Sinema

Paola Peduzzi

Chi è la senatrice democratica dell’Arizona che si oppone al progetto economico dell'Amministrazione Biden

Andate a casa e calmatevi, ripetono i leader del Partito democratico ai colleghi al Congresso americano: il progetto di legge da 3.500 miliardi di dollari (ma saranno di meno) proposto dall’Amministrazione Biden, il sogno rooseveltiano dell’attuale presidente, sarà votato per Halloween, c’è un mesetto di tempo per ritrovare una sintonia interna alla sinistra (ma non si troverà: qualcuno dovrà cedere più di altri). Il fuoco amico si è concentrato intanto sui moderati che dicono: tutti questi soldi sono una follia. Joe Manchin, senatore del West Virginia, è il più visibile e ciarliero: fuori dalla sua casa galleggiante a Washington ci sono proteste continue (i più assidui sono di Greenpeace). Kyrsten Sinema, senatrice dell’Arizona, è la più attaccata: ha ricevuto nel giro di ventiquattro ore “il trattamento Saturday Night Live” e il “trattamento Maureen Dowd”, ed è stata inseguita dai suoi detrattori nelle aule dell’Università in cui insegna, finché non si è chiusa in un bagno.

Sinema (che suona come “cinema” in inglese) è chiacchieratissima non soltanto perché guida la lotta interna ai democratici dei moderati contro i più radicali – Maureen Dowd sul New York Times scrive che lei e Manchin hanno troppo potere, come possono due persone mettere in pericolo una rivoluzione?, e aggiunge: “Come Hemingway chiedeva nelle ‘Nevi del kilimangiaro’, che ci fanno quei leopardi a queste altitudini?” – ma anche perché è indecifrabile.

All’inizio degli anni Duemila, Sinema, che oggi ha 45 anni, sosteneva Ralph Nader, era la portavoce locale del Green Party, organizzava manifestazioni pacifiste (diceva che Reagan e Bush jr erano i veri amanti di Saddam Hussein e di Osama bin Laden) e raccontava, non senza contraddizioni, la sua infanzia da homeless: per tre anni aveva vissuto in una stazione di servizio abbandonata. Quando si è candidata per la prima volta come senatrice dell’Arizona nel 2018, Sinema faceva già parte come deputata della Blue Dog Coalition, l’alleanza dei democratici più conservatori della Camera. Opportunismo dettato dal fatto che in Arizona si vince soltanto se si è a destra? C’è chi dice di sì, ma i più parlano di “enigma”.

Sinema gioca con questa sua ambiguità, scrive libri sull’importanza del dialogo e del pragmatismo e poi s’intesta una battaglia ideologica come quella di questi giorni, spiega poco o niente della sua posizione (“la Greta Garbo del Congresso”), si alza dagli incontri citando scuse poi smentite da qualche video. Mentre sfugge si veste coi colori più sgargianti mai visti a Capitol Hill, indossa parrucche viola azzurre e verdi, ribadisce la sua bisessualità, partecipa all’Ironman migliorando ogni anno il proprio record personale, e poi corre, nessuno riesce a prenderla, a decifrarla, a convincerla. Per questo Sinema è la più detestata, al Saturday Night Live è stata trattata come una ribelle senza gli argomenti giusti, una Sarah Palin con la passione per i paradossi e i muscoli.

Ma chi la conosce dice che la sua ambizione è un’altra: da grande Sinema vorrebbe essere come John McCain, compianto senatore dell’Arizona (colui che scelse la Palin come compagna di ticket): non tanto sulle idee, quanto nei fatti e nell’immaginario, la nuova “maverick” dell’Arizona, l’anticonformista.    

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi