Cosmopolitics

Carrie e Boris, ovvero la vittoria di lei che dice: o me o i tuoi amici

Paola Peduzzi

Il matrimonio a sorpresa del premier britannico con la sua fidanzata per una volta batte la mania da screenshot che ha preso Downing Street. Soprattutto arriva con un tempismo feroce nel regolamento di conti in corso dentro all'entourage di Johnson

Per una volta non c’è stato il solito traffico di screenshot e di indiscrezioni che scandiscono la vita del governo inglese, così Boris Johnson è riuscito a organizzare il suo matrimonio a sorpresa con Carrie Symonds, che nel frattempo è diventata la first lady più detestata del regno, ma pazienza: quando ti immischi negli affari del marito, è facile che finisca così. La cerimonia segreta si è svolta nella cattedrale di Westminster, come accade ai principi, e poi c’è stata una festa nel giardino di Downing Street, con il sole degli inizi promettenti. Carrie ha affittato il suo vestito da sposa per 50 euro (è di Christos Costarellos, greco nato in Germania, cioè europeissimo: l’abito da nuovo costa più di tremila euro ed è andato esaurito su Net-a-porter) e l’ha riconsegnato due giorni dopo. Sul prato Carrie ha festeggiato scalza, con la corona di rose gialle e margherite sulla testa e l’immenso sorriso delle spose che non soltanto hanno domato un uomo che non sa dire con esattezza nemmeno il numero dei figli che ha avuto, ma che nel frattempo sono riuscite anche a condizionarlo, a vincere la temibile sfida: o me o lui (o lei, insomma: gli altri). Johnson nelle foto appare scarmigliato e perplesso, come se si stesse chiedendo com’è che era finito lì, con un bambino di un anno ancora da crescere e la terza moglie appena sposata: ma si sa che l’improvvisazione è l’arte di questo premier che sembra sempre lì per caso e invece s’è costruito tutte le garanzie per restare a lungo.

Il matrimonio a sorpresa (si sapeva che i due volevano sposarsi, ma pareva non quest’anno, e comunque anche lo staff di Johnson è stato tenuto all’oscuro o monitorato con attenzione) è arrivato alla fine di un gran regolamento di conti dentro la leadership dei conservatori britannici: quello avviato da Dom Cummings, ex consigliere del premier cacciato con lo scatolone in mano l’anno scorso e tornato davanti ai Comuni per gustarsi la sua vendetta. Come spesso è accaduto in passato, l’impatto immediato dello scontro in pubblico non è stato grande: gli inglesi in questo momento sono più preoccupati del fatto che la variante indiana del coronavirus faccia saltare i piani dell’estate, visto che il cosiddetto giorno della liberazione, il 21 giugno, sembra ora molto meno liberatorio. I sondaggisti solerti registrano un calo dei Tory dopo la testimonianza di Cummings contro il suo ex capo definito “unfit to lead”, ma molti aggiungono che con tutta probabilità si tratta di un effetto temporaneo. Queste lotte fratricide di solito mostrano il loro effetto tempo dopo, perché non è lo scandalo immediato a lasciare segni quanto il modo con cui si ricostruiscono le alleanze, i posizionamenti e le convergenze, cioè come si ricostruisce la leadership e la classe dirigente legata al premier. Il matrimonio a sorpresa con questo suo tempismo feroce è la vittoria della sposa contro Cummings: Carrie ha detto a Johnson o me o lui, e Johnson ha scelto lei. Se questo sia un bene per il futuro della premiership e per il paese non è  Cummings che deve dirlo (anche se non riesce a trattenere il disprezzo nei confronti della first lady), però molti se lo chiedono, e vorranno trovare una risposta.  

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi