Una boccata d'aria

Una campagna elettorale su Marte

In Nuova Zelanda si vota il 17 ottobre. L'esito sembra scontato, ma ci sono un po' di appunti da prendere (anche sulla leadership delle donne)

Paola Peduzzi

Jacinda Ardern, primo ministro, è molto popolare e ha creato una formula vincente per un partito di sinistra. La sua sfidante, Judith Collins, è ben più moderata dei leader che l'hanno preceduta alla guida del National Party

Il quotidiano francese Libération si interrogava ieri sul ruolo delle donne in politica, in particolare nella politica di sinistra: com’è che con tutta questa sensibilizzazione sui temi della parità di genere i partiti di sinistra in Francia sono tutti guidati da uomini? La risposta in sintesi era: la rivoluzione è appena cominciata, le nuove generazioni la compiranno. Nell’attesa possiamo consolarci con una campagna elettorale che sembra si svolga su Marte e con una donna che già guida un partito di sinistra. Il 17 ottobre si vota in Nuova Zelanda, Jacinda Ardern, premier laburista, cerca la riconferma: a sfidarla c’è Judith “Crusher” Collins, ex avvocato, ex sottosegretario per le Forze dell’ordine e leader della destra del National Party (che ha cambiato leadership tre volte dal 2018 a oggi). La Ardern è molto popolare – non solo in Nuova Zelanda, anzi: la cosiddetta Jacindamania è un bene molto esportato – soprattutto per come ha gestito tre grandi emergenze: l’attentato di un suprematista bianco in una moschea a Christchurch, l’eruzione violentissima di un vulcano sull’isola di Whakaari e naturalmente la pandemia da coronavirus. La formula della sinistra secondo la Ardern è fatta di: pragmatismo, empatia, riforme rapide, più tasse ai ricchi, un gran sorriso e poche lamentele (resti come esempio il sorriso calmo e rassicurante della Ardern mentre parla in diretta tv e trema tutto per una scossa di terremoto). Secondo i sondaggi, la Ardern è addirittura sopra al 50 per cento dei consensi e così i commentatori neozelandesi sono divisi a metà: c’è chi dice che non vale nemmeno la pena di occuparsi di questo voto tanto è scontato, e c’è chi invece sostiene che questo è il voto per capire come può evolvere un partito di sinistra dopo che ha già ottenuto tanto (è anche una boccata d’aria, questa campagna elettorale).

 

Al momento per avere la maggioranza la Ardern ha fatto una coalizione con i Verdi e con il New Zealand First (sì, è il partito populista del paese). Ora il Labour riuscirà a governare da solo? Come fa a convincere gli elettori? La critica più grande alla Ardern riguarda le promesse non mantenute (e i suoi detrattori dicono che non le ha mantenute perché ha dovuto fare compromessi con i populisti alleati): sul programma contro la povertà dei bambini, sulle case popolari e sull’introduzione di tasse sui capitali. Poi c’è anche il dibattito sul lockdown rigoroso imposto dalla Ardern: l’opposizione come spesso accade su questo tema cade spesso in contraddizione. La Collins ha criticato la Ardern perché si è tolta la mascherina per fare i selfie a un incontro in un’università ma allo stesso tempo ha criticato il governo perché ha imposto regole troppe punitive per l’economia del paese, ora in affanno. Ci sono anche nuovi focolai di coronavirus – come ha fatto notare persino Donald Trump che sembra insensibile ai numeri del contagio negli Stati Uniti ma ha criticato quelli della Nuova Zelanda – che per ora vengono trattati in modo selettivo ma forse questo metodo non è sufficiente.

 

La danza dentro e fuori la pandemia non è semplice, per l’opposizione men che meno, non solo in Nuova Zelanda: ci si ritrova a volte a criticare l’eccessiva leggerezza o l’eccessivo rigore all’interno della stessa frase. Per la Collins poi la faccenda è ancora più complicata perché è molto più moderata rispetto agli ultimi leader che l’hanno preceduta, ha detto di ammirare molte cose della Ardern e su molti temi – aborto e matrimonio omosessuale per esempio – la pensa come lei. Anche per questa ragione la campagna elettorale neozelandese sembra di un altro pianeta: il confronto è duro, ma i punti di dialogo esistono, un terreno comune c’è, e comunque vada sarà femmina. 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi