Mariane Pearl, le ragazze yazide e la forza che tiene in piedi questo pezzo di civiltà, il nostro

Paola Peduzzi

    Quando ha saputo che suo marito era stato ucciso da al Qaida, decapitato con un coltello in diretta video, Mariane Pearl era incinta di sei mesi, era in Pakistan da sola, sua madre era morta da poco, “non sapevo dove andare, come nascondermi”, attorno a lei i giornalisti le chiedevano “con gli occhi eccitati” hai visto il filmato, cosa provi?, e lei pensava soltanto a uccidersi. Poi la vita ha avuto il sopravvento, Adam ha tredici anni, sa che suo padre, il giornalista del Wall Street Journal Daniel Pearl, è stato ucciso da Khalid Sheikh Mohammed, la mente dell’11 settembre rinchiuso a Guantanamo, sa che c’è un video, forse un giorno lo guarderà, forse no, non lo sai mai che cosa un ragazzo sarà in grado di accettare. Oggi Mariane sa che non vuole parlare di quelle immagini, che quando le hanno telefonato i media americani per commentare il video di James Foley, il primo giornalista ucciso dallo Stato islamico, si è arrabbiata, “non lo conoscevo, non ero mai stata in Iraq, volevano soltanto che ritirassi fuori il mio orrore e il mio dolore, e questo per me è fondamentalmente fare propaganda a favore di al Qaida e dello Stato islamico”. Si è trasferita a Barcellona, “dove nessuno mi riconosce” (ci è andata con il fidanzato di allora, un imprenditore olandese-argentino, ma si sono lasciati, oggi dice “I can’t date”, quando mi chiedono: raccontami della tua vita, crolla tutto, devo mentire o ripercorrere una storia che fa male, allora è meglio stare da sole, un giorno chissà), ha scritto un libro per raccontare Danny e il loro amore, è diventata amica di Angelina Jolie che l’ha interpretata nel film tratto dal memoir, e in questi giorni è a Londra per presentare un documentario sulle ragazze yazide che in Iraq sono state brutalizzate dallo Stato islamico.

     

    Mariane Pearl ha incontrato alcune di loro, ha passato un po’ di tempo a Erbil, in Iraq, spiegando alle donne yazide e cristiane come fare a raccontare le loro storie. “Alcune hanno 25 anni e sono passate già in mezzo a tre guerre”, ha raccontato Mariane a Christina Lamb del Sunday Times, “è incredibile, perché hanno tutte le ragioni del mondo per sentirsi completamente finite, eppure c’è questa resilienza – da dove viene tutta questa forza e come facciamo a capitalizzare questa forza?”. E’ la vita che vince, come con Adam, come quando 130 persone vengono ammazzate nel centro di Parigi mentre mangiano, ballano, guardano una partita, “e chi muore non è l’unico target, è chi resta vivo e come reagisce alla paura” il vero target, dice Mariane, se chiudi il cuore, sei morto anche tu. Le storie di queste ragazze sono tutte brutalmente simili: i nomi sono stati cambiati, nel servizio sul Sunday Times le ragazze sono state fotografate con i vestiti bianchi della loro tradizione, il volto coperto dal velo, si vedono soltanto i capelli, spesso lunghi, spesso neri. Dlo ha vent’anni, è stata presa come schiava dallo Stato islamico per otto mesi, stava preparando da mangiare quando sono arrivati, è rimasta chiusa in una scuola per qualche giorno mentre i miliziani del Califfato arrivavano e sceglievano le ragazze da portare via, poi è toccato anche a lei. Qaliya ha ventuno anni, schiava per dieci mesi, la prima volta che ha tentato di scappare è stata ricatturata, è stata legata per i piedi al ventilatore, picchiata per tre giorni senza mai mangiare né bere, “il mio carceriere mi ha detto che se avessi tentato di nuovo la fuga mi avrebbe legata a due macchine e spezzata a metà”. Anche Nasima, ventidue anni, ha cercato di fuggire due volte, è stata ripresa, picchiata, tenuta a digiuno per una settimana, la prima volta che è stata violentata il jihadista di turno l’ha frustata, poi l’ha lavata e l’ha obbligata a sposarla, “aveva trent’anni, quattro figli, ma voleva un altro bambino da me”.

     

    Le storie sono simili, ma i dettagli aggiungono un orrore diverso, i fratellini ammazzati davanti agli occhi, gli stupri appena partorito un bambino, le botte efferate, le conversioni. Tutte le ragioni al mondo per essere “broken”, e invece c’è quella forza che resiste, nitidissima, la vita che vince sulla morte, sulla paura, sulla violenza, la stessa che ha tenuto in piedi Mariane, la stessa che tiene in piedi questo gran pezzo di civiltà, il nostro.

     

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi