Guido Carli e quel "vincolo esterno" europeo che Renzi vuole rottamare (a parole)

Marco Valerio Lo Prete
L’espressione “vincolo esterno” è stata coniata o quantomeno resa popolare nel nostro paese da Guido Carli, economista nominato direttore generale della Banca d’Italia nel 1959, poi presidente della Confindustria dal 1976 al 1980, quindi ministro del Tesoro dal 1989 al 1992. Oggi Palazzo Chigi la sta mettendo davvero in discussione?

Oggi, come ogni lunedì, è andata in onda Oikonomia, la mia rubrica su Radio Radicale. Qui potete ascoltare l'audio, di seguito invece il testo con i link.

 

Venerdì prossimo il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, incontrerà a Berlino la cancelliera tedesca, Angela Merkel. Il bilaterale offrirà l’occasione per fare il punto su alcune contese aperte tra Italia e Unione europea, visto che la Germania è considerata a ragione il peso massimo del Vecchio continente, oltre che un paese influente sugli equilibri comunitari. Si discuterà dunque – solo per elencare i dossier economici – di flessibilità fiscale e quindi di deficit, di unione bancaria e di riforma della governance della moneta unica, di aiuti di stato e industrie nazionali come l’Ilva.  


Può essere utile dunque soffermarsi su un concetto che è tanto economico quanto politico, quello di “vincolo esterno”, che Renzi – almeno a parole – ha messo in discussione con forza e notevole originalità rispetto alle recenti tradizioni politiche italiane, specialmente quelle progressiste.


Fin dalle prime lezioni di microeconomia si insegna che “esistono dei vincoli che limitano le scelte e definiscono l’insieme delle alternative disponibili – scrive Joseph Stiglitz in “Princìpi di Microeconomia” – Nella maggior parte delle situazioni economiche, i vincoli che limitano le scelte di una persona, ossia i vincoli che di fatto sono rilevanti, sono relativi al tempo e al denaro. L’insieme delle alternative disponibili i cui vincoli sono determinati dal denaro è definito ‘vincolo di bilancio’; l’insieme delle alternative i cui vincoli sono determinati dal tempo è definito ‘vincolo di tempo’”. Ovviamente anche le imprese e le economie nel loro complesso, come i singoli individui, devono considerare alcuni vincoli e devono operare delle scelte all’interno di determinati insiemi di alternative disponibili.


Il vincolo è “esterno”, per convenzione, quando dipende da dinamiche che originano al di fuori dei confini nazionali di un paese. L’espressione “vincolo esterno” è stata coniata o quantomeno resa popolare nel nostro paese da Guido Carli, economista vissuto tra il 1914 e il 1993, nel 1959 nominato direttore generale della Banca d’Italia, poi presidente della Confindustria dal 1976 al 1980, quindi ministro del Tesoro dal 1989 al 1992.


Oggi per “vincolo esterno” si intende innanzitutto quella serie di regole europee che imbrigliano la politica fiscale degli stati membri, Italia inclusa. Cito alcune di queste regole, ulteriormente rafforzate dopo la crisi dei debiti sovrani attraverso norma ormai note con i nomi di Six Pack, Two Pack, Fiscal compact e Semestre europeo. Per esempio i tetti al deficit e al debito pubblico, rispettivamente fissati al 3 e al 60% del prodotto interno lordo di un singolo paese, almeno in base al Patto di Stabilità e crescita del 1992. Per quanto riguarda il debito, poi, i paesi che ne hanno uno superiore al 60% del pil dovrebbero adesso ridurre questo eccesso almeno di 5 punti percentuali all’anno su una media triennale. Sempre in base ai nuovi paletti, la spesa pubblica non dovrebbe crescere più rapidamente del tasso di crescita medio del pil potenziale nel medio termine. Per i paesi firmatari del Fiscal compact, dal gennaio 2014 la Costituzione deve prevedere un pareggio di bilancio strutturale come obiettivo delle manovre finanziarie. E questi sono soltanto alcuni dei vincoli esistenti per la politica fiscale dei paesi membri dell’Unione europea.


Guido Carli però iniziò a parlare di “vincolo esterno” per l’Italia ben prima che Bruxelles diventasse così influente. Nel suo libro-intervista intitolato “Cinquant’anni di vita italiana”, Carli per esempio così parla della firma dei Trattati di Roma nel 1957: “Nessuno aveva compreso le potenzialità della nostra economia, neppure noi che eravamo fortemente favorevoli a quel ‘bagno nell’acqua gelata’ del mercato aperto. Lo eravamo per pessimismo: ritenevamo che senza un forte vincolo esterno, avrebbero prevalso le forze involutive che miravano a instaurare una società comunistica”. In un altro passaggio si riferisce alle “potenzialità di questo paese una volta che avesse accettato con convinzione il vincolo della concorrenza internazionale”.


L’Europa indubbiamente è sempre apparsa, a certe élite del nostro paese, un utile “vincolo esterno”, anche quando per Europa non s’intendevano certo la Commissione e il Consiglio dell’Ue. Già ai tempi della Destra storica, ricorda per esempio lo storico Giovanni Orsina, la modernità era “un modello straniero da importare in Italia e un modello settentrionale da importare nel mezzogiorno”; da qui “l’intreccio fra un ‘inseguimento esterno’ (del paese all’Europa) e uno ‘interno’ (del sud al nord)” che ha complicato non poco le cose. Il ricorso alla categoria del “vincolo esterno” rientra, sempre per citare Orsina, negli “sforzi continui e costanti che in questo paese sono stati fatti al fine di costruire, ricostruire, difendere e riparare un apparato politico ‘ortopedico’, ossia che raddrizzasse, e ‘pedagogico’, ossia che rieducasse il paese nei tempi più brevi possibili, così da renderlo infine capace di (una qualche forma di) modernità”.


Adesso Renzi pare sostenere un approccio esattamente opposto: “L’Europa non ne azzecca più una – ha detto il presidente del Consiglio negli scorsi giorni – Dobbiamo aiutarla a cambiare”. Altro che “vincolo esterno”, dunque, è l’Italia che deve modificare in meglio il corso delle vicende europee. Dal 1992 a oggi, non c’è presidente del Consiglio di sinistra o di matrice tecnocratica che abbia sposato questa linea di pensiero, più che meramente di “politica economica”, come ho detto: Giuliano Amato, Carlo Azeglio Ciampi, Lamberto Dini, Romano Prodi, Massimo D’Alema, Mario Monti ed Enrico Letta, in fondo, appartenevano tutti alla scuola del “vincolo esterno”, e avrebbero detto piuttosto che “l’Italia non ne azzecca mai una, e solo l’Europa può aiutarla a cambiare”. Già venerdì, all’incontro con Merkel, si capirà meglio se questo cambiamento di approccio rispetto al “vincolo esterno” europeo avrà anche effetti pratici.

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