I buchi neri nei piani dell'Ue che faranno ballare le banche italiane

Redazione

    L'Unione bancaria europea è considerata come un punto di svolta della politica comunitaria. Recentemente il dimissionario presidente del Consiglio, Enrico Letta, ha dichiarato che se fosse stata operante quattro anni fa, all'apice della crisi finanziaria internazionale, l'area euro si sarebbe risparmiata gli sconquassi che ancora oggi sta attraversando. Un giudizio così positivo, basato sullo stato attuale di implementazione dell'Unione bancaria, è probabilmente azzardato. Se sono stati fatti buoni passi verso una maggiore integrazione delle regole di gestione dei mercati bancari, come per esempio l'assegnazione della vigilanza unica alla Banca centrale europea (Bce), è tuttavia ancora da sciogliere il nodo del meccanismo di risoluzione, ovvero delle procedure volte a limitare il dirompente effetto “domino” legato al default di una banca.

    L'accordo raggiunto dai capi di stato o di governo dell'Unione ha trovato prima l'opposizione del Parlamento europeo e, più di recente, quella di Mario Draghi. Quest'ultimo ha giustamente evidenziato come il periodo di transizione ipotizzato per la costituzione del fondo di risoluzione, alimentato dai contributi delle banche, sia troppo lungo (ben dieci anni). Inoltre, Draghi ha posto in evidenza come al fine di arrestare le crisi sistemiche sia necessario prevedere accanto a tale fondo, la cui dotazione sarà a regime di “appena” 55 miliardi di euro, anche finanziamenti pubblici, così come è avvenuto negli Stati Uniti dopo il crac Lehman Brothers. Un fondo privato, con una dotazione che nel 2025 sarà pari ad appena lo 0,2 per cento del totale attivo attualmente osservato per le banche operanti nell'Eurozona, potrà di fatto risolvere esclusivamente crisi isolate, di istituti di credito non di grandissima dimensione e non molto interconnessi con altre banche, mentre nulla potrà di fronte a crisi più generalizzate. Se tale questione non si risolverà proficuamente entro alcuni mesi, le banche europee potrebbero vivere un autunno molto caldo: entro novembre 2014 saranno, infatti, diffusi i risultati sull'Asset quality review e sugli stress test.

    Le banche che a seguito di queste verifiche registreranno deficit di capitale, rispetto ai minimi stabiliti, dovranno mettere rapidamente in campo azioni per riportarsi su un livello di patrimonio di sicurezza. Chi non ci riuscirà sarà spinto verso la chiusura, con i processi di risoluzione che presumibilmente potrebbero cominciare a verificarsi nel corso del 2015. Ma il prossimo anno le regole del cosiddetto bail in, vale a dire della partecipazione alle perdite da parte dei creditori delle banche (azionisti, obbligazionisti e depositanti oltre i 100 mila euro), non saranno ancora in essere in quanto partiranno dal 2016, mentre il fondo privato per le risoluzioni bancarie avrà a disposizione, nel suo primo anno di vita, solo 5 miliardi di euro.

    L'unica strada percorribile, almeno per i paesi del sud d'Europa, sarà il ricorso al Fondo salva stati Esm, che potrà intervenire ricapitalizzando le banche che ne avranno bisogno. Anche in questo caso, però, le risorse messe in gioco sono molto scarse (60 miliardi di euro) e oltretutto i potenziali finanziamenti europei dovranno transitare per i conti pubblici, come avvenuto in passato in Spagna, aggravando ulteriormente lo stato dei debiti sovrani. In questo quadro particolarmente instabile, il sistema bancario italiano si trova in una condizione ancor più delicata. L'inopinata scelta, legata all'ostinata opposizione dei recenti governi, e ancor più dell'industria bancaria, di non costituire una bad bank di sistema anche in Italia (dopo l'Irlanda e la Spagna), finanziata con il sostegno dei fondi europei, pone le banche italiane in una situazione particolarmente complessa. I crediti in un qualche stato di insolvenza hanno infatti raggiunto quasi i 300 miliardi di euro (poco meno del 20 per cento del pil) e potrebbero ulteriormente aumentare dopo le verifiche in corso da parte della Bce. Se non si interverrà quanto prima per ripulire i bilanci bancari da questo ingente peso, e in assenza di un “paracadute” europeo, i rischi di rovinose cadute sono dietro l'angolo.

    di Carlo Milani
    Economista del Centro Europa Ricerche (Cer)