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Uno Shakespeare dopo l'altro

Mariarosa Mancuso

Dal ping pong di Timothée Chalamet a una Londra moderna con Riz Ahmed, in mezzo un Amleto riadattato e un "Frankenstein" reinventato, l'omaggio al poeta e drammaturgo inglese continua sul grande schermo con riscritture audaci e nuove interpretazioni

 Uno Shakespeare tira l’altro, non si sfugge. Un anticipo c’era già quest’anno, ma siamo alla periferia dell’impero. Quindi dobbiamo pazientare fino al 22 gennaio per “Marty Supreme”, il film di Josh Safdie con Timothée Chalamet ossessionato dal tennistavolo (questo il nome da disciplina olimpica di quel che usavamo chiamare ping pong). Marty Supreme è il titolo di una pallina brevettata dall’aspirante campione, Chalamet avrà gli occhialini da nerd, e spera davvero che con questo film lo prenderanno sul serio come attore. Può consolarsi pensando a Leonardo DiCaprio, son passati anni e anni prima che lo prendessero sul serio. Se fossimo in pari con le uscite americane – succede quasi solo con i blockbuster – avremmo già visto “Hamnet” di Chloé Zhao, uscito negli Stati Uniti a novembre e primo titolo della doppietta che omaggia Shakespeare. “Hamnet” vale come “Hamlet”, nel 1596 non si faceva tanto caso alla differenza. Il film racconta come il più bravo di tutti – ma i suoi contemporanei non ne erano certi, c’è voluto un po’ perché facesse ombra agli altri scrittori, non solo di teatro – arrivò a scrivere “Amleto”. Fa da guida il romanzo di Maggie O’Farrell “Nel nome del figlio. Hamnet” (Guanda). La scrittrice e la regista femminista puntano sul lutto per l’unico figlio maschio, morto undicenne. Il William Shakespeare di Paul Mescal deve stare al gioco, sa benissimo che chi scrive – per il cinema come per i teatro – ha sempre l’ultima parola.

 

Il secondo Shakespeare in arrivo è diretto da Riz Ahmed. Uscirà in Gran Bretagna 6 febbraio prossimo, vedremo Amleto sfrecciare su una macchina sportiva, a Londra, mentre recita il suo “essere o non essere”. L’attore e rapper britannico di origine pakistana coltiva il progetto da tempo, non sarà il pallido principe della tradizione, bensì l’erede di un ricco costruttore. Riz Ahmed aveva già adattato il testo quando ancora non aveva vent’anni, assieme a un amico. Entrambi avevano verso il testo un timore reverenziale, sparito quando si è unito a loro il regista Aneil Karia, che ha fatto il lavoro sporco, levando dal copione tutte le scene in cui Amleto non compare, e concentrando l’azione in poche ore. Shakespeare era piuttosto disinvolto nell’adattare storie altrui, non gli si fa certo un torto se lo si riscrive. Alle riscritture non sfugge “Frankenstein”, dopo la meravigliosa versione di Guillermo del Toro. Maggie Gyllenhaal si dedica alla sposa che la creatura chiede con insistenza, e mai avrà, nel romanzo di Mary Shelley. Era un’aggiunta apocrifa della Universal: il successo del film con lo scienziato e la creatura invocava un seguito. “Bride!” È ambientato nella Chicago degli anni 30, l’attrice è Jessie Buckley, già moglie di Shakespeare per Chloé Zhao.

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