De Luigi e Accorsi, smargiassi da sballo

Andrea Minuz

“50 km all’ora” è una commedia sentimentale, un Easy Rider con “l’appenino tosco-emiliano” nei panni della Monument Valley. E la rivelazione di una gran coppia per il buddy movie all’italiana

Un inno all’Emilia-Romagna, alle malinconie della paternità, alla brotherhood, e ai motorini degli anni Ottanta usati come madeleine. Al terzo film da regista possiamo dirlo: nessuno meglio di Fabio De Luigi sa raccontare con grande leggerezza quella galassia sgangherata e indistruttibile che è la famiglia. Quel che ne resta, quel che vorremmo che fosse. La famiglia che proviamo a tirare su noi e quella che vive nei nostri ricordi. “50 km all’ora” parla anche di questo. Di un sentimento maschile della famiglia, di padri, figli, fratelli, rapporti che si sfaldano, si ritrovano, si riperdono (e in un momento in cui ai maschi è chiesto solo di sentirsi colpevoli, diventa quasi un film trasgressivo). “50 km all’ora” è una commedia sentimentale. È un film che nel finale vi farà piangere. È un road-movie alla “Easy Rider” coi motorini al posto dei chopper, e “l’appenino tosco-emiliano” nei panni della Monument Valley. Quindi non El Prado, Route 66, Death Valley, ma Pavullo nel Frignano, Cervia, Bertinoro, Borghi, Comacchio, la metafisica lunare del delta del Po. Non Steppenwolf e Jimi Hendrix, ma Cindy Lauper, Depeche Mode, Cock Robin. E come in “Easy Rider”, che, ricordiamolo, venne in mente a Dennis Hopper come una variante hippie del “Sorpasso” di Dino Risi (lo chiamiamo road-movie, ma l’abbiamo inventato noi), i personaggi sono già tutti nei dettagli, persino nei caschi, e nel modo di stare in sella.

 

Fabio De Luigi, tenero, insicuro, sensibile, guida un “Ciao”, vecchio ciclomotore minimal, sobrio, bisex. Stefano Accorsi, che di lavoro fa il capo animatore, anzi “chief adult animator” nelle navi da crociera, è un tipo spavaldo, arrogante, si comporta da cazzone e cavalca un Atala “Califfone” customizzato (il “Califfone” era più aggressivo, bombato, quasi un chopper rispetto agli altri motorini, un modello da macho con un nome già in aria di “patriarcato”). Dopo anni di separazione e vite diverse, i due si ritrovano per il funerale del padre. Alessandro Haber padre-padrone fuma l’ultima sigaretta steso a letto e la lascia a metà. C’è una lettera. Vuole che le sue ceneri siano sparse sulla tomba di famiglia, accanto alle spoglie di sua moglie. Inizia qui il viaggio di De Luigi e Accorsi.

  

Un viaggio squinternato ma con delle regole scritte dai due fratelli quando erano ragazzi. Cose come spostare una mucca, fare sesso, ordinare il menù intero di un ristorante cinese, una delle poche imprese che riescono, e una scena perfetta in cui s’ingozzano di pollo alle mandorle e anatra pechinese sulle note di “Just Can’t Get Enough” dei Depeche Mode.

 

C’è anche Marina Massironi che canta “Girls Just Want to Have Fun” in versione balera-unplugged a una festa di paese. Ci sono le facce tipiche dell’Emilia-Romagna film commission: Paolo Cevoli che dice messa, “Vito” che fa l’oste. Ma soprattutto c’è una grande coppia per i prossimi buddy-movie all’italiana. L’incastro tra Accorsi e De Luigi funziona benissimo. Invecchiando un po’, pardon “crescendo”, Stefano Accorsi si ritrova oggi con una gran faccia da vitellone di provincia. Faccia strafottente, arrogante, smargiassa, ma con quegli improvvisi lampi di malinconia dei grandi cialtroni della storia del cinema, come Gassman nel “Sorpasso”. Fabio De Luigi con gli occhi buoni incorniciati in una barba selvaggia da montanaro (non quella hipster del suo ultimo film con Virginia Raffaele) è il controcanto perfetto. Finito il film, viene subito voglia di ritrovarli insieme in un’altra storia. Aspettiamo fiduciosi.

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