The Palace

Mariarosa Mancuso

La recensione del film di Roman Polanski, con John Cleese, Mickey Rourke, Fanny Ardant, Fortunato Cerlino

Su “Asteroid City” di Wes Anderson le critiche si sussurravano, la passione non era più quella di un tempo. Su “The Palace” di Roman Polanski le critiche sono andate giù pesanti, da rottura immediata. Come se a 90 anni – compiuti in agosto – un regista fosse costretto a sfornare film come “L’ufficiale e la spia”. Assieme a Jerzy Skolimowski, di 5 anni più giovane, si è divertito a scrivere una farsa. O una pochade, se in francese vi pare più elegante (invece è perfino più greve).

 

Polanski ha attraversato molte tragedie – non ultima l’espulsione dal consesso civile a opera delle guerrigliere del #MeToo – se ha voglia di divertirsi certo non lo impediremo. C’è sempre la libertà di non vedere il film. Lo ha prodotto Luca Barbareschi, che non si fa scalfire dall’impresentabilità del regista arrestato dalla polizia svizzera, nel 2009, c’era un mandato di cattura internazionale. 2 mesi di carcere, 7 agli arresti domiciliari (cauzione di 4 milioni e mezzo di franchi e cavigliera elettronica).

 

“The Palace” è ambientato in Svizzera, l’ultimo giorno del 1999 – ricordate i timori per il bug, e il nulla di fatto allo scattare del 2000? Gli ospiti del lussuoso albergo sono ricchi e bizzarri, ci sono anche i russi con valige piene di soldi da mettere nel caveau (in realtà, un rifugio in caso di guerra atomica). I cani fanno la cacca sui piumini – l’erba finta in bagno non li convince. I parenti straccioni della profonda Europa cercano i cugini miliardari. Umani e pinguini, assatanati.

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