Kursk

Mariarosa Mancuso

La recensione del film di Thomas Vinterberg, con Colin Firth, Léa Seydoux, Matthias Schoenaerts, Max Von Sidow

Cosa abbia condotto Thomas Vinterberg dalla tragicomica celebrazione famigliare di “Festen” alla tragedia del sottomarino Kurks non è dato sapere. Di mezzo c’è stato anche “Un altro giro”, inno all’alcolismo moderato ma costante (gli effetti sono descritti, sebbene non consigliati, anche in un libriccino di Edmondo De Amicis). “Kursk” è stato girato nel 2018, tirato fuori dai magazzini perché trattasi di sottomarino russo non proprio al suo meglio (uno degli unici rimasti, altri sono stati fatti a pezzi come ferro vecchio). Sappiamo come è finita, Vinterberg si è ispirato al libro di Robert Moore: “A Time to Die”. Uno dei marinai per festeggiare le nozze si è venduto l’orologio, prima di salire a bordo per l’esercitazione. Prima fase: lancio missile. Seconda fase: lancio siluro. Terza fase: ritorno in incognito (così il doppiaggio italiano). Partono, si inabissano, e subito scoprono che “il siluro è arrabbiato”. Mancano sette minuti all’esplosione e sono ancora nella zona vietata. Il tempo di dire: “comincia a pregare” e il sottomarino esplode. Quasi tutto, si salvano i marinai a poppa. Cominciano a lanciare segnali: quattro colpi di martello allo scoccare di ogni ora. Il segnale viene ricevuto, dopo una serie di altri disastri aggiustati perlopiù stando a mollo. I russi non sono in grado di intervenire, hanno un batiscafo che pare un giocattolo. Gli inglesi sono pronti a dare una mano ma i russi fermamente lo impediscono. Le vedove piangono.

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