popcorn

“Mank”, il nuovo film di David Fincher

Mariarosa Mancuso

L'ultima fatica del regista e produttore cinematografico statunitense sarà disponibile in streaming dal 5 dicembre su Netflix 

Niente, Netflix ci riprova – dopo “Roma” di Alfonso Cuarón, con un altro film in bianco e nero avviato a razzo verso gli Oscar. Meno popolare, forse, ma più cinefilo: e sappiamo che i giurati dell’Academy sono sensibili alla storia del loro glorioso mestiere. Qui poi c’è di mezzo “Quarto Potere”, diretto da giovane genio Orson Welles (a 25 anni ottenne dalla RKO Pictures un vantaggiosissimo contratto da attore, sceneggiatore, regista e produttore) che scrisse il copione assieme al più maturo Herman J. Mankiewicz. Se sapete già la storia, fidatevi del regista, che si chiama David Fincher e qui lavora su una sceneggiatura ereditata dal padre Jack, morto nel 2003.

 

Non un principiante assoluto, aveva tentato un film su Howard Hughes e aveva diretto la redazione della rivista Life a San Francisco. Papà Fincher mise da parte un miliardario con la passione per il volo e per il cinema (Martin Scorsese girò il biopic “The Aviator” scegliendo una sceneggiatura di John Logan) per dedicarsi a un altro miliardario con la passione per il cinema e per i giornali: William Randolph Hearst. A lui si ispira, senza nasconderlo più di tanto, “Quarto potere” – pare che invece “rosebud”, la parola pronunciata in punto di morte, fosse un piccante riferimento alla giovane fidanzata Marion Davis.

 

“Mank” è il titolo del film di David Fincher, dal 5 dicembre in streaming su Netflix (le polemiche saltiamole, per una volta: i cinema sono chiusi, le circostanze sono avverse, mica lo possiamo proiettare all’aperto sui lenzuoli). Herman J. Mankiewicz appare piuttosto malconcio, subito dopo i titoli di testa in stile vecchia Hollywood. Se ne sta sdraiato a letto, accanto a lui un’infermiera e una dattilografa, in attesa dei dispositivi di sostegno. Tiranti per gamba ingessata e alcool per il morale. La scadenza è più che ravvicinata, Orson Welles aveva altri progetti andati a male, tra cui un “Cuore di tenebra” tratto da Joseph Conrad, e voleva ricuperare. Nato in Pennsylvania da genitori ebrei fuggiti dalla Germania, il regista di “Eva contro Eva” (che arriverà più tardi, nel 1950, ora siamo nel 1939) ha già il gusto per la battuta feroce. E non ha una grande stima dei colleghi. Quando gli ripetono il mantra “Scrivi di quel che conosci” ribatte “L’ha sicuramente detto uno scrittore che non conosco”.

 

Un tempo era ospite fisso nel castello Hearst – ribattezzato Xanadu in “Quarto Potere” – sfarzosamente arredato con tendenza al kitsch (elefanti, scimmie e giraffe nel parco). Cercava di convincere gli ospiti della pericolosità di Hitler. Gli altri ospiti – pur essendo i proprietari degli studi cinematografici in maggioranza ebrei – dicono e ripetono “non durerà”. Era il 1939, dicevamo, e già produttori e registi discutevano: “Come riportare la gente al cinema?” Di buon auspicio, a giudicare dagli ultimi 80 anni. Il cinema ce la farà, anche questa volta.

 

Di più su questi argomenti: