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Kevin Spacey e lo scandalo che non c'è più

Mariarosa Mancuso

Aspettiamo il primo regista che decida di risarcire uno dei più bravi attori in circolazione

Sul sito della Bbc una timeline ricostruisce le accuse contro Kevin Spacey. Viene un brivido al pensiero della figuraccia che faremo con i posteri. Tanto clamore mediatico e una carriera distrutta a fronte di un solo caso portato in tribunale, per il resto sono palpeggiamenti, “tentativi di seduzione”, “toxic environment” (nel caso dell’Old Vic, il teatro londinese che l’attore ha diretto dal 2003 al 2015), comportamenti “a un passo dalla molestia sessuale”. Nessuno dei giovanotti così molestati, dopo essersi dichiarato tale ai giornalisti, ha sporto formale denuncia.

 

L’unica denuncia presentata – da un barista di Nantucket, figlio della conduttrice televisiva Heather Unruh, più battagliera del diretto interessato – da ieri non esiste più. E’ stata ritirata dal barista medesimo, a seguito della misteriosa sparizione di un telefonino che la difesa intendeva esaminare, in cerca della chat che avrebbe scagionato l’accusato (sembra ci fosse anche un’altra chat tra il molestato e la di lui fidanzata, tenuta al corrente di quel che succedeva). C’era il sospetto che dal cellulare fossero stati cancellati messaggi e fotografie – a testimonianza di un flirt, o di un corteggiamento, o di come lo volete chiamare, magari un po’ greve ma non unilaterale. La presunta vittima ha invocato per sé il Quinto emendamento – la facoltà di non rispondere – e ha ritirato la denuncia.

 

Per la giustizia, Kevin Spacey non ha carichi pendenti. Non ha neanche più un lavoro, perché la gogna è gogna, e una volta che sei stato additato come la mela più marcia di Hollywood (e di Netflix, che per non essere da meno lo ha cacciato da “House of Cards”) è difficile tornare sul set. Tra le figuracce che faremo con i posteri, c’è anche il fatto di averlo a lungo applaudito nella perfidia scespiriana di Frank Underwood, e di esserci trasformati all’improvviso in pudibondi puritani. Pronti a ricamare una “M” sul panciotto dei molestatori. A gentile richiesta di chiunque punti il dito accusatore (e ritirando poi la mano che dovrebbe portare la denuncia in tribunale).

 

Ridley Scott ha cancellato Kevin Spacey dal film “Tutti i soldi del mondo”, sostituendolo con Christopher Plummer nella parte del vecchio miliardario Paul Getty che rifiuta di pagare il riscatto per il nipote rapito a Roma (“ho molti nipoti, non vorrei creare un precedente” fu la spiegazione di tanta crudeltà). La cancellazione dell’impresentabile costò 10 milioni di dollari su un budget di 40 milioni, ma “non si poteva mettere in pericolo il lavoro di tante persone”. Tutte decisioni prese in nome e per conto degli spettatori, che non hanno potuto esprimere la loro opinione in materia. In realtà, sono i produttori che non vogliono rischiare, e neppure i distributori: i critici che non brillano mai per coraggio avrebbero segnalato l’indecenza, poi magari c’è il matto che si accanisce contro il cinema sotto casa, non si sa mai.

 

Aspettiamo il primo regista che decida di risarcire uno dei più bravi attori in circolazione, offrendogli una parte fantastica. Magari da cattivo in un film di supereroi, se proprio non si trova altro (i film per spettatori adulti da un po’ sono rari e preziosi). Si accettano scommesse sul numero di anni che dovranno passare, perché il cinema ha i suoi tempi. La poca voglia di compromettersi li allungherà a dismisura. Restano i vecchi film. E lo stupore dei posteri, che si chiederanno: ma quale catastrofe ha risucchiato Kevin Spacey nel nulla?

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