Luca Guadagnino (foto LaPresse)

Guadagnino non è un fuoriclasse ma è un professionista

Mariarosa Mancuso

I registi italiani imparino qualcosa dal suo film candidato agli Oscar

Cose che il cinema italiano dovrebbe imparare da Luca Guadagnino. Messe qui in bell’ordine da chi i suoi film non li ha mai amati – “Chiamami con il tuo nome” va considerato un’eccezione, parziale – ma riconosce i professionisti al lavoro. Non stiamo pensando all’assalto al carro del vincitore, già riuscito benissimo. Anche se per ora il bottino ammonta a quattro candidature all’Oscar (per le statuette pazientare fino al 4 marzo): film, sceneggiatura non originale, attore protagonista Timothée Chalamet, canzone originale di Sufjan Stevens. Stiamo pensando a un cinema che riesce a essere internazionale senza puntare sull’Italia cartolinesca. Tale risulta, per esempio, la Roma di Paolo Sorrentino completa di fenicotteri (ma non erano segno sicuro di cattivo gusto?).

 

Primo: scegliere uno sceneggiatore che sappia il mestiere. Qui si chiama James Ivory, e nella sua frenesia libresca (aveva adattato Edward Morgan Forster, Peter Cameron, Henry James, Kazuo Ishiguro) si è imbattuto nel bel romanzo di André Aciman “Chiamami col tuo nome” (da Guanda). Avendo fatto pratica, tra l’altro, con “Maurice” – il vittoriano Edward Morgan Forster scrisse il libro dopo che la pacca sul culo ricevuta da un amico gli scatenò l’ispirazione – era perfetto per raccontare un primo amore che allora non si poteva confessare e ora ha le luci della ribalta.

 

Secondo: adattare il budget quando i soldi non ti saltano addosso. Diminuire le settimane di lavorazione. Spostare il primo amore dalla Liguria a Crema, territorio che Luca Guadagnino conosce bene, e può darsi che l’intesa con una pro loco non subissata di richieste aiuti a risparmiare qualcosa. Con la fotografia di Sayombhu Mukdeeprom – il direttore della fotografia del thailandese Apichatpong Weerasethakul, che a noi è sempre risultato molesto – perfino l’estate cremasca anni Ottanta risulta esotica e internazionale. 

  

 

Quarto: fare il regista e basta. Semmai sconfinando verso la produzione, nobile mestiere in Italia considerato vile. Leggi: i cattivi che rovinano il film dell’artista, cogliamo l’occasione per ribadire che gli onori di “Nuovo Cinema Paradiso” vanno divisi tra Giuseppe Tornatore e il produttore Franco Cristaldi che sforbiciò la pellicola fino a farle vincere l’Oscar, miglior film straniero. “Chiamami con il tuo nome” gareggia invece nella serie A. La regia è arrivata dopo otto anni da produttore, quando non si trovava qualcuno che volesse girare il film. Guadagnino stava già lavorando a rifare “Suspiria”, by Dario Argento, e ci ha provato lo stesso: molte cose importanti nel cinema succedono per caso.

 

Quinto: scegliere gli attori. Armie Hammer lo conoscevamo, nessuno aveva finora notato il corpo efebico e l’intelligente visino di Timothée Chalamet. Bravissimo, pure nella scena con la frutta usata a scopo erotico. Stupisce, semmai, che un giovanotto capace di rilasciare evocativi autografi su una pesca poi si vergogni di lavorare con Woody Allen e dia il compenso (magro, paga sindacale) in beneficenza.

 

Sesto: raccontare una storia universale, chi non ha avuto un primo amore? Ma tra due maschi, per un tocco di classica modernità (tra i difetti del film, troppi discorsi e troppi accarezzamenti di statue antiche). Il diciassettenne seduce, non solo con gli sguardi, il ventiquattrenne che non lo considera. Fosse stata una ragazza con un uomo più grande sarebbe successo il finimondo. Ultimo: rimanere fedele al suo mondo di ricchi, eleganti e colti, senza farsi traviare dalle periferie. “Chiamami con tuo nome” esce oggi nelle sale, vediamo se il profumo dell’Oscar attirerà gli spettatori.

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