La Macelleria equina Pellegrini a Milano (LaPresse)
Carne di cavallo fuori legge? Così la proposta di Eleonora Evi (Pd) minaccia molte ricette tipiche
L’iniziativa dell’On. Eleonora Evi e delle colleghe dem punta a riconoscere i cavalli come animali d’affezione e vietarne la macellazione, mettendo a rischio piatti storici come la Pastissada veneta, il Tordo Matto di Zagarolo e la Pìcula ‘d cavall piacentina. Tutela dell'animale o della tradizione gastronomica?
Una proposta di legge presentata ieri alla Camera dei Deputati potrebbe cambiare radicalmente il rapporto tra italiani e carne di cavallo. E potrebbe porre fine ad alcune ricette inserite nelle liste dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani tipici. La messa al bando della carne di cavallo è stata infatti richiesta dall’onorevole Eleonora Evi, del Pd. Sostenuta anche dall’On. Patrizia Prestipino e dall’On. Debora Serracchiani, la proposta di legge prevede il riconoscimento degli equidi come animali di affezione, insieme ad altre disposizioni per la loro tutela e per la promozione di misure per la riconversione degli allevamenti. È stato espressamente citato l’esempio della Grecia, che nel 2020 ha vietato la macellazione dei cavalli includendoli nelle tutele riservate a cani e gatti. “Oltre a definire in maniera chiara che gli equidi devono essere riconosciuti come animali d’affezione, questa proposta di legge mette in campo una serie di strumenti per monitorare i cavalli sul territorio, in collaborazione con le Asl. Ma non solo: vogliamo realizzare la riconversione degli animali usati negli allevamenti, cavalli inclusi, prevedendo delle risorse economiche per farlo. È giusto e doveroso che questa riconversione degli allevamenti porti soprattutto a una produzione alimentare in chiave vegetale, per un cambiamento culturale e sostenibile. La proposta di legge poi mira a mettere fuori legge l’uso della Pmsg, un ormone estratto all’interno di vere e proprie fattorie del sangue in Europa a danno di migliaia di cavalle, per aumentare la produzione negli allevamenti intensivi” ha dichiarato l’On. Evi.
Durante la presentazione della proposta di legge sono stati presentati i dati pubblicati dal centro ricerche Ipsos insieme all’organizzazione Animal Equality Italia a maggio 2025, e secondo cui tra il 92 per cento degli Italiani consumatori di carne, solo il 17 per cento dichiara di mangiare carne di cavallo almeno una volta al mese, una tendenza in calo nell’ultimo anno. L’indagine Ipsos rivela inoltre che l’83 per cento della popolazione che dichiara di non consumare carne di cavallo è guidata da questi principali motivi: il 44 per cento non è abituato a consumarla e non ne è incuriosito; il 42 per cento adduce motivazioni emozionali, provando per esempio empatia per questo animale; il 31 per cento segue motivazioni etiche, considerando i cavalli soprattutto come animali “da compagnia”.
In effetti, senza arrivare all’orrore per la carne di cavallo tipico del mondo anglosassone, in Italia è un consumo da sempre minoritario, e per lo più dovuto a motivazioni salutistiche. È infatti spesso consigliata dai medici a chi soffre di anemia, ai bambini, alle donne in gravidanza, agli anziani, ai convalescenti e agli sportivi. Tuttavia, esistono anche alcune aree geografiche dove invece la carne di cavallo è un prodotto tradizionale, e come tale addirittura tutelato.
In alcuni casi, parliamo di ricette antichissime. La Pastissada de caval veneta, in particolare. Secondo la leggenda nacque per riutilizzare la carne dei cavalli uccisi nella battaglia di Verona, che fu combattuta dal 28 al 30 settembre 489 tra Teodorico e Odoacre. Accompagnato in genere a polenta o gnocchi, è uno spezzatino cotto con cipolla, olio, burro, vino rosso e passata di pomodoro. Quest’ultimo ingrediente è evidentemente una aggiunta recente, ma il vino sarebbe già stato usato dai veronesi di 15 secoli fa, per aggiustare il sapore degli animali trovati sul campo di battaglia. Olio e burro compensano la magrezza tipica della carne di cavallo.
Una origine bellica simile ha il Tordo matto di Zagarolo, anche se un minimo più recente. Involtino di carne equina con all'interno un battuto di grasso di prosciutto, aglio, prezzemolo, coriandolo, sale, e altre spezie locali. Si cuoce sia alla brace di “troppe” (viti tagliate dai vigneti “stincati”), infilzato allo spiedo o sulla graticola, sia in padella; anch’esso dovrebbe prima essere messo per 24 ore a bagno nel vino. Dal 1992 celebrato con una sagra che si tiene l'ultimo weekend di giugno a cura della locale confraternita di San Antonio da Padova, questa ricetta nel 2026 celebrerà – leggenda vuole – i suoi 500 anni. Secondo quanto racconta infatti un saggio inviato nel 1820 al Principe Rospigliosi da parte del medico condotto Paolo Montorsolo, nell’ambito della guerra che l’anno dopo avrebbe portato al Sacco di Roma nel 1526 un lanzichenecco ferito, con un cavallo in fin di vita, avrebbe chiesto aiuto e cibo a due anziani contadini in una capanna nei pressi di Zagarolo. La coppia offrì verdura, uova e frutta, ma il ferito rifiutò, iniziando a gridare “Drossel”! Aveva cioè voglia di tordi. Il cavallo però di lì a poco morì, e i contadini lo tagliarono a fettine sottili, alcune delle quali diedero ai vicini in cambio di lardo, erbe e spezie. Con il tutto arrangiarono involtini che vennero infilzati nella lancia del lanzichenecco, cotti sulla brace e infine offerti al ferito che stavolta approvò e mangiò avidamente, bevendo anche vino fino ad ubriacarsi, e cantando “Drossel”. Quando il giorno dopo quel “soldato matto” se ne andò, si fece un gran banchetto con questa nuova ricetta, chiamata “tordo del matto”. Poi semplificato in “tordo matto”.
Anche la Pìcula 'd cavall del Piacentino, “Razione di Cavallo”, chiamata Cavallina nel Basso Lodigiano, è un piatto ritenuto di origine militare, per la facile reperibilità di cavalli a fine carriera nelle caserme della città. Servita con polenta e vino rosso, è polpa di cavallo tritata finemente con lardo pestato, prezzemolo e aglio, e poi cotta in tegame con pomodoro, salvia, rosmarino e vino rosso o brodo, e a volte anche peperone. Su proposta della Regione Emilia-Romagna è stata inserita dal ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani tipici della provincia di Piacenza. Qui oggi si consumano anche pietanze a base di carne di cavallo cruda.
Pure come prodotto agroalimentare tradizionale del Trentino-Alto Adige è riconosciuta la lucanica mochena di cavallo: salume tipico della Val dei Mocheni, dove vive una minoranza che parla un dialetto tedesco di origine medioevale. È fatta al 51 per cento con carne di cavallo e al 49 con carne di maiale. Può essere utilizzata carne di cavallo anche per altri salumi come Bresaola della Valtellina o Carne Salada del Trentino, che però sono di solito fatti con carne bovina. Può essere fatto con carne di cavallo anche il Tapulon: spezzatino con vino, lardo o olio, aglio, cipolla e spezie che è un piatto tipico di Borgomanero, in provincia di Verona, ma avrebbe la sua versione più verace con carne d’asino.
Andando al sud, le Brasciole sono involtini con carne di cavallo ripieni di lardo, pecorino, aglio, prezzemolo e a volte anche uvetta e pinoli, poi cotti nel sugo di pomodoro, tipici di Sicilia, Puglia e Basilicata. Tradizionalmente serviti con orecchiette o anche maccheroni, sono un tipico pasto della domenica. È vero che oggi si fanno anche con il vitellone.
Nel Salento si trovano anche i Pezzetti di cavallo: uno spezzatino portato forse dai gitani nel XIV secolo. Si usava la carne di un cavallo vecchio, non più adatto alla soma, a cui si aggiungevano sale, olio e tralci di vite, che si diceva rendessero la carne più tenera. Tradizionalmente serviti nelle osterie per accompagnare il vino, in punta di forchetta o su fette di pane casereccio, oggi vi si aggiungono salsa di pomodoro, alloro e peperoncino, e si consumano spesso in panini. Sono tipica per l’11 novembre, San Martino.