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bollicine contro trump
Erotico, nostrano, italiano. Fatevi un chinotto per ribellarvi ai dazi
Una bevanda cromaticamente scura e moralmente trasparente. In poche parole: una poesia. I boicottaggi non funzionano, ma un bicchiere italianista rimane comunque la scelta migliore
Vi lamentate dei dazi e continuate a bere Coca-Cola? Fatemi il piacere di tacere. Io sì che avrei il diritto di stramaledire l’America essendo un italiano vero, un patriota completo che si tiene lontanissimo dalla bevanda gassata di Atlanta come pure dalla sua concorrente Pepsi. La mia è una posizione serenamente e moderatamente autarchica. Il mio è un bicchiere italianista e pertanto quasi sempre pieno di vino ma per mille motivi di cui ho scritto mille volte gli italiani non amano più il vino. E allora, se proprio, passate al chinotto.
Ho un ricordo remoto, quando ancora indulgevo ai superalcolici, di piacevoli Savona Libre, rum e chinotto Lurisia ricavato da agrumi del Ponente Ligure, e questa cosa che il chinotto è un agrume credo vada ribadita. Nel chinotto non ci sono ingredienti misteriosi come nelle cole, il chinotto è bevanda cromaticamente scura e moralmente trasparente: contiene chinotto.
Discende dal frutto di un alberello ameno, tipico dell’Italia ligure-tirrenica, presente lungo le coste fino alla Sicilia, assente nella perfida America. Dal nome scientifico Citrus myrtifolia si capisce che le foglie somigliano a quelle dei mirti divini cantati da D’Annunzio nella “Pioggia nel pineto”. Il chinotto è poesia. Il chinotto è anni Cinquanta e poi boom economico, era di moda ai tempi della cedrata e dell’orzata, della granatina e della spuma, del lattementa e dell’acqua brillante. Ai tempi della gazzosa. Il chinotto è anni Settanta visto che in quel decennio gli Skiantos scrissero una canzone che faceva così: “Il chinotto è la mia droga / io lo bevo senza posa / il chinotto è molto bello / sale dritto nel cervello”. Non escludo che nella mente perversa di Freak Antoni aleggiasse il doppio senso, l’accezione segreta della parola, la pratica che va sotto il nome scientifico di Fellatio. Fosse così, benissimo: il chinotto è erotico.
Io lo so che gli economisti e i liberisti mi diranno che i boicottaggi non funzionano, che tutto è interdipendente, che l’autarchia totale non può esistere, che dentro la Coca-Cola (e la Pepsi, la Sprite, la Seven Up, il Gatorade…) c’è anche del lavoro italiano, e che dentro i chinotti non manca una percentualina americana. Ma è una questione di dosi. E di simboli. Il chinotto rappresenta un’Italia quintessenziale, non a caso il chinotto migliore della mia vita l’ho bevuto a un tavolino all’aperto dello storico Caffè Meletti di Ascoli Piceno, in Piazza del Popolo, una delle piazze più perfettamente italiane che ci siano. Era un Chinotto Paoletti “dal 1922”… Ho conservato la foto che subito scattai perché subito capii la bellezza dell’attimo, la fuggevolezza di quella privata felicità. Percepivo che sarebbero spuntate all’orizzonte nuove corna dell’Apocalisse, non sapevo che si sarebbero chiamate Covid, Guerra in Ucraina, intelligenza artificiale, Dazi… Non conosce la dolcezza del vivere chi non ha bevuto un chinotto ad Ascoli Piceno prima di Trump, mi verrebbe da dire. Ma a che serve la nostalgia? Serve bere un chinotto ora.