È pronto in favola! Lollobrigida e il cibo dei poveri. Intervista ad Alberto Grandi
I poveri non "mangiano meglio”, come sostiene il ministro dell'Agricoltura. "Ma la retorica delle radici, della tavola dei nonni migliore della nostra, fa presa perché è molto identitaria”, dice lo storico dell'alimentazione. Balle con responsabili eccellenti, da Pasolini a Veronelli
“Da noi spesso i poveri mangiano meglio dei ricchi: cercando dal produttore l’acquisto a basso costo spesso comprano qualità”. Al Meeting di Rimini, il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida è intervenuto sulle differenti abitudini alimentari di Italia e Stati Uniti, “un grande popolo”, ma che a tavola non ha “niente da insegnarci”. Tutto bello, se non che quella frase sui poveri ha fatto storcere parecchi nasi, più o meno gourmet, poco propensi a traslocare da Cracco alla Caritas. Il punto è che siamo sempre ancorati a quell’immaginario da piccolo mondo antico, appena rinfrescato da una mano di tinta pubblicitaria, dove schietti mugnai guardano con gli occhi innamorati di Banderas le loro galline Rosita; le zuppe sono tutte “del casale” e le marmellate tutte “della nonna”.
“Il nostro è un paese che da decenni si racconta una favola”, dice Alberto Grandi, storico dell’alimentazione all’università di Parma, terra di formaggi e prosciutti deliziosi ma non così antichi come si vorrebbe. Grandi l’ha spiegato in “DOI: Denominazione di Origine Inventata”, un libro (e poi un podcast) che smonta le bugie del marketing sui prodotti tipici italiani. Buonissimi, per carità, ma spesso privi dell’antica sapienza e del lignaggio che siamo soliti sentirgli appioppare. “Viviamo un sogno di gastronomia bucolica: una retorica che fa presa perché è molto identitaria. Il Guardian, feroce, ha scritto che agli italiani rimanevano solo calcio e cibo. E visto che il calcio va male...”.
Smontare la tesi del ministro non è difficile. Al di là del senso comune – tutti sanno che il mercato contadino è più caro del discount – il dato sulla disfunzione alimentare e l’obesità vale in America come in Italia. Dai dati Istat 2022 emerge che i disoccupati e gli operai mangiano una quantità inferiore di verdure e frutta rispetto agli occupati e ai dirigenti. E in Italia l’obesità tra i bambini è più diffusa al sud, dove guarda caso c’è più povertà. “Non solo sbagliato, il discorso di Lollobrigida è anche illogico”, prosegue Grandi. “Se fosse come dice lui, significherebbe che i contadini italiani vendono i loro prodotti peggiori a prezzo più alto e i loro prodotti migliori a prezzo più basso: sono cretini? È grave che lo dica il ministro dell’Agricoltura, e ha molto a che fare con il rapporto incestuoso di FdI e Lega con Coldiretti, della quale hanno assimilato le posizioni ideologiche”.
Pane, destra e nostalgia? “Questo governo arriva buon ultimo, ma anche i precedenti cavalcavano la retorica delle radici, del cibo dei nonni meglio del nostro. A marzo Lollobrigida ha rispolverato la tragicomica idea di una task force di assaggiatori in giro per il globo, a controllare i ristoranti italiani all’estero: una proposta che arriva da Teresa Bellanova ai tempi del governo Renzi. Anche i progressisti sedicenti ‘intelligenti’ ci cascano”. La sinistra è vittima di Carlin Petrini? “Spiace dirlo, ma la responsabilità è di Pasolini”, sostiene Grandi, che accusa la sua “retorica dell’identità rurale italiana travolta dal consumismo cattivo. Mentre era se mai il mondo contadino ad essere violento. E affamato. I nostri nonni mangiavano peggio di noi, per quantità e qualità”.
Parlando di qualità del prodotto, poi, c’è da dire che quello industriale non è sempre tremendo. “Tutt’altro”, risponde il docente. “Dall’alto dei miei cinquant’anni, ricordo quando da bambino andavo al mare nel Cilento: l’olio era una schifezza acida. È l’industria che lo ha stabilizzato e migliorato. Anche qui, se proprio vogliamo trovare un capro espiatorio, la colpa è di Luigi Veronelli, con il suo ‘Il peggior vino contadino è migliore del miglior vino d’industria’. Una dottrina della tradizionalità, del fai da te, che è fuori da ogni grazia di Dio”.
“L’idea che possiamo campare con la caciotta di Pienza ci fa male: l’Italia non è un paese ricco e industrializzato perché fa la caciotta di Pienza, ma fa la caciotta di Pienza perché è ricco e industrializzato. Agricoltura e turismo non bastano: guardate i dati di quest’estate, con la fuga sulle spiagge albanesi”.
Sarà che in Albania si mangia meglio. Del resto sono più poveri, no?