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Lo Spritz compie 40 anni: storia del cocktail alla conquista dell'America

Maurizio Stefanini

Fu ideato nel secolo scorso a Trieste dagli austriaci, che trovavano il vino troppo forte. Oggi l'aperitivo sbanca anche a Wall Street

Lo Spritz fa 40 anni e conquista l’America. Goldman Sachs ha appena alzato da “Neutral” a “Buy” il giudizio sulla Campari e ha previsto che grazie al sempre più popolare cocktail, l’Aperol farà furore. La Borsa ha reagito bene e il titolo è cresciuto fino al 7 per cento con prospettive del 26 per cento tra il 2019 e il 2021. Secondo le statistiche solo un americano su 1.000 beve Aperol, contro un italiano su 10 e un tedesco su 40.

 

Ma quando nasce lo Spritz? Il nome viene dal tedesco spritzen, che significa spruzzare. Uso e termine furono coniati dai soldati austriaci che in Italia avevano difficoltà sia a trovare la birra, sia a reggere il vino, per loro troppo forte. Per fare di necessità virtù allora lo diluivano e in quella Trieste dove gli austriaci rimasero fino al 1918 lo spritz è ancora oggi vino mescolato ad acqua frizzante, minerale gassata o seltz.

 

Lo Spritz che va in America, però, è un’altra cosa. Secondo la ricetta ufficiale dell’Iba, la International Bartenders Association, si fa con 6 centilitri di prosecco, 4 centilitri di Aperol, uno spruzzo di soda. “Preparare in un bicchiere grande vecchio stile riempito di ghiaccio. Guarnire con una mezza fetta d’arancia”. È questa la ricetta che sta conquistando l’America, dopo essere dilagata in Europa. La data di riferimento è il 2003, quando la Campari acquista l’Aperol, a quasi 100 anni dalla prima Fiera campionaria di Padova del 1919, quando i fratelli Silvio e Luigi Barbieri presentarono per la prima volta quell’aperitivo alcolico dal colore rosso-arancio e dal sapore dolce amaro, ottenuto per infusione in alcol di arancia ed erbe tra cui il rabarbaro e radici. Il consumo dell’Aperol negli anni '60 è lanciato dal famoso Carosello in cui Tino Buazzelli si dà una botta sulla fronte esclamando “Ah, Aperol!” e negli anni '80 decolla ulteriormente grazie all’altra pubblicità in cui Holly Higgins si tira su la minigonna per raggiungere in moto gli amici in un bar di Miami mentre dice “Non so voi, ma io bevo Aperol”. Ma con l’inizio del nuovo millennio il consumo era in calo, fino a quando appunto per rilanciarlo non fu ideata la campagna pubblicitaria con la nuova ricetta dello spritz all’Aperol.

 

Ma lo Spritz tra il 1918 e il 2003 era stato un cocktail tipico del Veneto: non più solo vino a acqua frizzante, non ancora prosecco e Aperol. La ricetta varia, ma in genere per un terzo è vino bianco fermo. Per un terzo è acqua minerale gassata nei locali più alla mano, oppure seltz in quelli più pretenziosi. Per un terzo Bitter Campari, che è in media il più richiesto dagli uomini, o Aperol, preferito dalle donne, o Cynar, cui tengono certi puristi. Appunto, questo Spritz sarebbe nato al più tardi nel 1979, secondo quanto scrive lo storico dell’alimentazione Alessandro Marzo Magno in “Il genio del gusto. Come il mangiare italiano ha conquistato il mondo”.

 

La data di nascita dello Spritz la fornisce un libro pubblicato nel 1979 dalla nobildonna veneziana appassionata di cucina Mariù Salvatori de Zuliani. Osserva però Marzo Magno che la ricetta “proviene da vecchi quaderni di famiglia e quindi è stata di sicuro annotata parecchio tempo prima dell’uscita del volume”. Poiché il Cynar è stato inventato nel 1952, secondo lui “la ricetta dev’essere stata scritta in un anno imprecisato tra il 1952 e il 1979”. “Aperitivo spritz /casa Zanotto usanza padovana)”, scrive la Salvatori. E poi, rigorosamente in veneto: “Stoquà el saria l’aperitivo tradizional de la zente veneta, tanto in uno dei bar e ne le case de campagna: 1 goto de vin bianco, ¼ de bicèr de un amaro qualsiasi (desso se pol metar per esempio: Cinar, china, bitter) e scorzeta de limon. Ghe ze anca de quei ghe zonta el ‘golosezzo’, ossia un giozzetto de gin, opur un’uliva impirada in t’un stecadente, per far più spetacolo e darghe a sto aperitivo modesto una certa qual aria de nobiltà”.

 

Come osserva Marzo Magno, il gusto per l’amaro è tipicamente italiano. È quella l’aggiunta che nazionalizza una bevanda di origine tipicamente tedesca: anche se poi gin e oliva ci testimoniano anche l’influenza americana.

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