Cristiani in Cina
Nel nome di Xi Jinping
Grande inchiesta de La Croix sulla Cina comunista che vieta ai bambini perfino di entrare in chiesa
Scrive il periodico francese che “tra le misure più radicali di questo piano, oltre ai controlli politici sulla gerarchia e sui luoghi di culto, ci sono i bambini. Essi non hanno più il diritto di entrare nelle chiese, non possono più essere battezzati né ricevere il catechismo"
Roma. “Senza battesimo né catechismo, come trasmettere la fede? In Cina, i bambini sono bannati dalle chiese”, è il titolo dell’inchiesta che il periodico francese La Croix ha realizzato sulla situazione della Chiesa cattolica in Cina. Dal 2018 è in vigore l’Accordo segreto che regola le nomine episcopali nel territorio continentale, rinnovato più volte sotto gli auspici di Papa Francesco e del segretario di stato, il cardinale Parolin, che però in diverse circostanze ha ammesso che si sarebbe voluto ottenere di più. Dietro alla “soddisfazione” trapelata dalla Sala stampa vaticana per certe nomine che di fatto la Santa Sede ha potuto solo controfirmare – non sono ipotesi, basta controllare le date degli annunci fatte da Pechino e le conferme date a Roma –, si cela la percezione che il coltello dalla parte del manico ce l’ha il Partito comunista. Sulla Croix il sacerdote assunzionista Arnaud Alibert ha offerto in prima pagina un’analisi lucida della situazione, senza indugiare nel melenso o nell’indicare responsabilità varie di quanto accade oggi. Scrive Alibert: “Accentuando ulteriormente la sua oppressione, il governo cinese sembra determinato a soffocare la Chiesa cattolica sul proprio territorio. Ma la Chiesa, che ha dimostrato di saper negoziare e mantenere un profilo basso, sa anche resistere. Vietando il catechismo e l’ingresso nelle chiese ai fedeli minorenni, il governo cinese stringe ulteriormente la morsa sulla Chiesa cattolica. In questo senso applica la politica di sinizzazione, uno degli assi principali dell’ultimo congresso del Partito comunista cinese. In un contesto in cui ogni parola libera appare come un’impresa, non si tratta quindi più soltanto di controllare la Chiesa, ma di prosciugare la trasmissione della fede. Così, la Chiesa cinese subisce, in modo silenzioso, una logica implacabile che mira al suo annientamento. Ma la resistenza del cattolicesimo all’oppressione dispone di risorse che Pechino forse sottovaluta. Il cristianesimo ha una lunga tradizione di pazienza, anche sotto le peggiori politiche ostili”. Ancora, “il governo cinese ha a lungo fatto leva – e continua a farlo – sul patriottismo e sulla lealtà per mantenere la Chiesa sotto la propria tutela. Attaccando ora la libertà, si apre tutt’altra partita, che entra in collisione con la professione di fede cristiana in un Messia, unico vero liberatore, che comanda di ‘lasciare che i bambini vengano a me’. E’ difficile immaginare che i credenti e il Vaticano possano negoziare su questo punto. Si è soliti dire che il governo comunista sappia essere paziente per raggiungere i propri fini. Potrebbe trovare nella Chiesa un rivale ancora più paziente di lui”.
L’inchiesta, piena di testimonianze, non dice nulla di nuovo. Ma conferma quanto è da tempo noto, nonostante i tentativi di esaltare l’Accordo o i peana molto colti e ricercati sull’importanza della “sinizzazione”. Scrive la Croix che “tra le misure più radicali di questo piano, oltre ai controlli politici sulla gerarchia e sui luoghi di culto, ci sono i bambini. Essi non hanno più il diritto di entrare nelle chiese, non possono più essere battezzati né ricevere il catechismo. Una vera e propria cesura nella trasmissione della fede, che rischia di mettere in pericolo, a lungo termine, l’esistenza stessa della comunità cattolica cinese, stimata in dodici milioni di fedeli. Dice un sacerdote di Hong Kong che “la questione dei bambini in chiesa ricorre da anni, ma con Xi Jinping questa regola viene ormai applicata in modo radicale. Sui portali delle chiese ci sono “targhe in bronzo, manifesti o adesivi che ricordano il divieto d’ingresso per i minori di 18 anni”. Qualche volta, sbucano le bandiere rosse della Repubblica popolare. All’interno non di rado campeggiano le gigantografie di Xi. Viene anche riportata la testimonianza di un sacerdote che per ovvi motivi rimane anonimo, operante nella Cina continentale: “L’esterno e l’interno degli edifici religiosi sono pieni di telecamere, anche nelle aule del seminario dove si tengono corsi... Nessuno si sente più libero. Il Grande fratello vi sorveglia costantemente e vi ascolta. Nessuno osa scambiarsi o dibattere durante i corsi. Le sessioni ideologiche sul pensiero di Xi Jinping, numerose e obbligatorie, si mescolano ai corsi di teologia e filosofia. E soprattutto alla sinizzazione della religione, una forma di inculturazione forzata alle dogmatiche ideologiche comuniste, ma non alla cultura cinese, come facevano i gesuiti del XVI secolo. Ci sono comunque alcune parrocchie dove il sacerdote è riuscito a far entrare i bambini in chiesa da una porta laterale dopo aver spento alcune telecamere”. Magra consolazione, ma senza dubbio una prova d’eroismo. Scrive la Croix che da quando è in vigore l’accordo sono stati regolarizzati dodici vescovi. Venti sono i “clandestini”, cioè i presuli che non hanno accettato di sottomettersi al Partito. Quaranta, invece, le sedi vacanti.