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il colloquio
Tra fedeltà al carisma e richiamo all'unità. Intervista al presidente di Comunione e liberazione, Davide Prosperi
Dopo la giornata in piazza con il Papa. La crisi della presenza nelle università, la sfida della radicalità per i giovani, il rischio di derive intimistiche
“Il giorno che smetteremo di giudicare vorrà dire che avremo perso la fede”. "Per vivere davvero un particolare carisma non si può prescindere dall’aderire fino in fondo alla realtà associativa che la Chiesa ha riconosciuto come custode di quel carisma"
Roma. Sabato scorso, Papa Leone XIV ha presieduto la Veglia di Pentecoste per il Giubileo dei movimenti, delle associazioni e delle nuove comunità. Il giorno prima, nella Sala Clementina, il Pontefice ne aveva incontrato i moderatori. Davide Prosperi è dal 2021 presidente di Comunione e Liberazione (Cl), il movimento fondato da don Luigi Giussani e a lui poniamo subito una domanda provocatoria:
Ha ancora senso, oggi, un movimento ecclesiale? In un’intervista a Tempi del 1997, Giussani disse: “Quarant’anni fa siamo nati per difendere il valore e la bontà sperimentata della tradizione cristiana come fattore di sviluppo di un popolo. Oggi si tratta piuttosto di difendere la possibilità del futuro”. E oggi?
Secondo Prosperi, “anche oggi il nostro compito è lo stesso: ‘Vivere intensamente il reale’, per usare una felice espressione di don Giussani, così da difendere la possibilità dell’esperienza cristiana nel futuro. Quando arriva l’inondazione, il contadino sa di dover mettere al sicuro il seme, e oggi a esser messo a repentaglio è appunto il seme, cioè la radice dell’esperienza cristiana: Cristo riconosciuto presente qui e ora. Leone XIV, invitandoci a ‘tenere sempre al centro il Signore’, ha lanciato un messaggio forte”.
Cl, come altre realtà, ha incontrato problemi interni sui quali è intervenuto il dicastero competente. Papa Francesco, più volte, ha chiesto “unità”, termine che anche Papa Leone ha ribadito fin dalla sua prima apparizione sulla Loggia delle Benedizioni, e che ha usato anche la scorsa settimana nell’incontro con voi moderatori. Come intende lei far proprio il “mandato” della Chiesa e “unire” il movimento? Francesco tra l’altro ha chiesto anche maturità ecclesiale e valorizzazione del carisma. Tenendo ben presente anche il rischio della autoreferenzialità.
“Papa Francesco mi ha affidato il compito di proseguire e consolidare il lavoro avviato in questi tre anni di ‘riscoperta fedele’ del carisma che lo Spirito Santo ha donato alla Chiesa tramite il Servo di Dio don Luigi Giussani. Proprio a questo riguardo, in una lettera che mi ha inviato a febbraio Papa Francesco parlava della necessità di una maggiore ‘maturità ecclesiale’. Su questo siamo al lavoro, rivolgendo ora lo sguardo a ciò che ci sta indicando il nuovo Pontefice. Sul tema dell’unità direi questo: se da una parte essa è sempre un dono di Dio e dunque non può essere confinata allo sforzo di uno o più responsabili, nel rispondere alla richiesta di curare tale unità emergono inevitabilmente opinioni e interpretazioni differenti sul modo di vivere l’esperienza di Cl. Le diverse sensibilità possono costituire un contributo prezioso per rispondere alle esigenze dei tempi, ma una vera unità non può prescindere dal riconoscimento dei fattori essenziali del carisma che ci ha trasmesso Giussani. Quindi la prima strada per la continuità e lo sviluppo del movimento è riconoscere tali fattori essenziali. Va poi tenuto conto che l’unità tra di noi non è fine a se stessa, ma consiste di una comunione più grande con tutta la realtà ecclesiale. Il richiamo all’unità di Papa Francesco prima e di Papa Leone oggi è anche un richiamo alla sequela dell’autorità, la Chiesa e chi la Chiesa indica. Su questo Giussani è sempre stato categorico. Per vivere davvero un particolare carisma non si può prescindere dall’aderire fino in fondo alla realtà associativa che la Chiesa ha riconosciuto come custode di quel carisma”.
Non di rado si sente dire che un movimento dovrebbe fare testimonianza, evitando di intervenire sulle questioni del nostro tempo con “giudizi” e lasciando alla coscienza di ciascuno il compito di valutare “le cose” di quaggiù. Lei già un anno fa disse che Cl non avrebbe rinunciato a dare giudizi sulla realtà. E’ ancora convinto di ciò, di correre il “rischio” di giudicare la realtà? Penso anche (ma non solo) al rilancio del volantino della Compagnia delle opere sugli ultimi referendum.
“Un movimento ecclesiale di laici che vivono nella società è chiamato a dare testimonianza di un’umanità nuova, cambiata dall’incontro con Cristo. Questa testimonianza è già un giudizio originale in quanto scaturisce da un’esperienza di fede: non si tratta appena di esprimere sé, i propri pensieri e opinioni, ma di affermare l’appartenenza a qualcosa di più grande di sé. Questo per noi è il movimento e qui sta l’origine di uno sguardo nuovo su tutto: la moglie, il marito, i figli, il lavoro, fino al referendum o al riarmo dell’Unione europea. E siamo chiamati a testimoniarlo di fronte a tutti. La sintesi perfetta l’ha fatta come sempre Giussani parlando di Cl: ‘Una comunionalità visibile e propositiva nella società’. Non per un progetto di potere, ma per far conoscere la convenienza umana del cristianesimo. Mi ha sempre colpito che lui, nei suoi interventi pubblici, utilizzava il noi e non l’io come soggetto delle sue risposte: evidentemente non come plurale maiestatis, ma come identificazione di sé con la compagnia che ha visto nascere intorno a lui e segno della presenza di Cristo. Il giorno che smetteremo di giudicare vorrà dire che avremo perso la fede”.
Presidente, per decenni Cl ha avuto un forte radicamento nelle università grazie all’impegno di tanti giovani. Questa spinta propulsiva del passato sembra affievolita. Perché è cambiato il mondo (e il contesto sociale) o perché la proposta del movimento fa fatica a intercettare istanze e desideri di quella generazione?
“Penso che in parte ciò sia avvenuto a causa del venir meno in università della vivacità delle storiche associazioni studentesche. Per anni la nostra presenza è cresciuta soprattutto in contrasto ad altre realtà ideologicamente opposte. La loro quasi scomparsa ha portato all’indebolimento della nostra proposta. Tutto ciò ha però permesso negli ultimi anni di scoprire il valore di una proposta non più oppositiva, ma positiva in termini di esperienza, e quindi di capacità di coinvolgimento di nuove persone e di credibilità nel giudizio. Penso ad esempio ad alcuni incontri sulla pace svolti in diversi atenei, oppure al Mud (Milano University District), due giorni di eventi e mostre organizzati di fronte al Politecnico: iniziative animate dagli studenti universitari di Cl, il cui numero, nonostante il generale calo demografico, ha ricominciato a salire. Questo dimostra che la proposta di Giussani è ancora estremamente attraente anche per i giovani. Ma c’è un aspetto che è fondamentale: essa può diventare per loro una vera esperienza solo se incontrano qualcuno che la vive senza sconti e la condivide. L’errore è annacquare la proposta nella convinzione che se troppo radicale i giovani di oggi scappano. E’ esattamente il contrario. Anche qui, Giussani è stato un rivoluzionario: ‘Noi soffochiamo i giovani se pretendiamo da loro un entusiasmo per le cose limitate’”.
A proposito, di radicalità, scriveva Giussani a Giovanni Paolo II nel 2004: “Ritengo che il genio del Movimento che ho visto nascere sia di avere sentito l’urgenza di proclamare la necessità di ritornare agli aspetti elementari del cristianesimo, vale a dire la passione del fatto cristiano come tale nei suoi elementi originali, e basta”. Diversi vescovi europei stanno iniziando a constatare segni (ancora flebili) di una rinascita della fede. Per lo più giovani, alla ricerca di un senso alla propria esistenza. E’ la riscoperta del “fatto cristiano” in un mondo che ormai si credeva definitivamente post cristiano? E’ qui che può risiedere l’attualità di un movimento come Cl?
“Molti osservatori documentano che siamo in un tempo non solo post cristiano ma post secolare. In questo contesto, la proposta di Cl rimarrà attuale se manterrà il suo carattere ‘totalizzante’, lo stesso che in passato ha attirato su di noi accuse di integrismo. Nella sua risposta a Giovanni Paolo II, Giussani evidenziava che se Cristo c’entra con tutto allora incide anche nel modo di vivere ogni circostanza, almeno come tensione ideale. Certo, una vita determinata da questa tensione sarebbe insostenibile con uno sforzo umano solitario. E’ una strada possibile solo come esperienza comunitaria. Esattamente come accadde agli apostoli, che del resto si trovarono a vivere la fede in un mondo per tanti aspetti simile a quello di oggi”.
Ha detto Leone XIV: “La vita cristiana non si vive nell’isolamento, come se fosse un’avventura intellettuale o sentimentale, confinata nella nostra mente e nel nostro cuore. Si vive con gli altri, in un gruppo, in una comunità, perché Cristo risorto si rende presente fra i discepoli riuniti nel suo nome”. In effetti, è andato un po’ di moda per qualche anno un cristianesimo “intellettualoide”, individualistico. Ha ravvisato questa china anche nel suo movimento?
“Le parole del Santo Padre descrivono il contenuto essenziale del nostro carisma, come emerge dal nome del nostro stesso movimento (dalla comunione la liberazione, e non viceversa) e come ha spiegato a più riprese don Giussani. Ma dobbiamo riconoscere che anche noi non siamo esenti dai rischi che vivono tutti, e la deriva intellettuale di cui lei parla esiste. La tentazione è ridurre la vita cristiana al rapporto intimistico con un Cristo disincarnato. E’ un approccio fondato sulla centralità di un io concepito individualisticamente. Giussani invece parte dall’evidenza della dipendenza dell’io dal divino. E questo divino ha scelto di intervenire nella storia, prima nell’incarnazione di Cristo e poi nella Chiesa. La grandezza di Giussani è stata quella di reagire in modo assolutamente originale e convincente a questo scivolamento verso il soggettivismo. Per questo la valorizzazione integrale del carisma da lui ereditato è così preziosa, per noi e per la Chiesa anzitutto, ma direi per il mondo”.