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Basterà “l'umanesimo evangelico” di Bergoglio per cambiare? 

Alfonso Berardinelli

Le nostre società non sanno che farsene della religione, ma Cristianesimo e modernità di Guglielmo Forni Rosa è un libro utile per riflettere sul baratro che divide le varie modernità di cui siamo così fieri e il cristianesimo

Se si volesse parlare chiaro, si dovrebbe cominciare a dire, per prima cosa, che il mondo attuale, o meglio l’occidente, cioè le nostre società e il nostro modo di vivere e di pensare, la nostra economia, tecnologia e politica, non sanno che farsene del cristianesimo. In caso contrario, il maggiore rischio è che il cristianesimo sia o sentimentalmente ornamentale o politicamente strumentale, tanto per opporre il cosiddetto occidente cristiano, cioè una antica e quasi estinta tradizione, al mondo islamico e a quello asiatico. Se non si riconosce quello che ormai è un baratro che divide il cristianesimo dalle varie modernità di cui siamo così fieri, diventa inutile, vacuo o piattamente cronachistico parlare, per esempio, del pontificato di Bergoglio, del come e del perché delle sue scelte politiche e del suo “stile”.
Il problema (ma il termine “problema” è miserevolmente svuotato dall’uso) è se il cristianesimo e più in generale le religioni non siano divenute insensate, inoperanti, falsificate dal mondo attuale, da tutta la sua cultura materiale e mentale. Difficile negare che la liberaldemocrazia abbia radici ebraico-cristiane. Ma è certo che da sola non copre, neppure sul piano etico, la gamma di virtù e il tipo di vita che una religione richiede. Una religione non è soltanto una morale civile e sociale, non è una semplice ideologia, né soltanto una politica, pur essendo anche questo. E’ un modo di essere, è qualcosa che ispiri l’intera vita. Se si vuole cercare oggi nel mondo qualcosa che somigli più di ogni altra a una religione, ecco che si trova il capitalismo, la sua idea di benessere, di lavoro, di vita desiderabile, di politica economico-sociale.

 

Utile per riflettere su tutto questo, è leggere Cristianesimo e modernità di Guglielmo Forni Rosa (Le Lettere, 154 pp.,  16 euro). Lo sottolinea Giancarlo Gaeta fin dalla prima frase della sua introduzione: “In questa società una qualche forma di cristianesimo potrà ancora sopravvivere?”. Aggiungendo tuttavia, poco dopo, questa affermazione di Forni: “Alla consapevolezza che il cristianesimo è il senso profondo della nostra vita, noi non vogliamo rinunciare”. Ma d’altra parte al centro del libro c’è la constatazione che “la modernità laica, illuministica e razionalistica, ha finito per legittimare la versione etica del cristianesimo come una forma di cultura adatta al mondo capitalistico-borghese e alle sue classi dominanti”. Per arrivare infine all’interrogativo conclusivo: “Perché l’attuale organizzazione della vita, diretta in ultima analisi dalle grandi concentrazioni di potere privato, secondo criteri e valori che contraddicono punto per punto la concezione evangelica, carne contro spirito, guerra contro pace, presente contro futuro, perché questa organizzazione è completamente accettata dalla Chiesa cattolica?”.
Direi: non “completamente”, ma largamente, spesso tacitamente, prudentemente accettata dalla Chiesa cattolica. La questione viene affrontata nel capitolo del libro che Forni dedica alla lettura di Evangelii gaudium di Papa Francesco, una “esortazione apostolica sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale” con cui aprì il suo pontificato. Si tratta della ricerca di un umanesimo fondato sul Vangelo, a partire dal Vangelo.

 

Un umanesimo che secondo Forni “dovrebbe misurarsi con un cambiamento più o meno radicale dell’economia mondiale”, che inevitabilmente implicherebbe, richiederebbe non solo un’etica ma una politica adeguatamente attiva, cioè una lotta. Bergoglio in quel testo scriveva: “Ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo, spuntano nuove strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale”.
Forni prende sul serio la prospettiva di questo umanesimo evangelico, ma trova anche che Bergoglio nelle sue formulazioni sia insufficiente, “poiché insiste molto sulla dimensione collettiva del cristianesimo e sulla nozione di popolo; ma non avanza l’idea – a mio avviso necessaria in molte situazioni contemporanee – di una lotta di popolo”.
Ma la Chiesa, un’organizzazione così vasta, complessa e radicata nella sua tradizione, che cosa potrebbe o dovrebbe fare in quella lotta di popolo? E basterà un Papa, per quanto audace e dinamico, a renderla politicamente militante in senso evangelico? Lotta di popolo, dice Forni. Qui ammutolisco. Mi chiedo soltanto: che tipo di lotta? quale popolo? per quale fine?

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