Lumini accesi a Berlino in ricordo delle vittime dell'attentato (LaPresse)

Il senso di colpa che impedisce all'occidente di guardare in faccia la realtà

Matteo Matzuzzi

La reazione europea alle stragi, da Parigi a Berlino, è sempre uguale: prima il disgusto, poi gli appelli alla tolleranza. L'opinione del saggista tedesco Alexander Kissler

Roma. “Non sappiamo ciò che accadrà quest’anno o nei prossimi anni. Ma sappiamo che questo tipo di immigrazione incontrollata è un gioco pericoloso. La Germania ha già perso il suo equilibrio interno e molte persone sono preoccupate anche se, come diversi uomini politici continuano a dire, non c’è nulla da temere, nonostante i costi e i rischi siano enormi”. A dirlo in una conversazione con il Foglio dello scorso maggio era Alexander Kissler, saggista, intellettuale e caporedattore del principale periodico politico-culturale tedesco, Cicero. Kissler non poteva sapere che sette mesi dopo un tir nero avrebbe volontariamente travolto e lasciato sulla strada, davanti a uno dei più bei mercatini natalizi di Berlino, dodici morti e quasi cinquanta feriti, in una replica della strage di Nizza del 14 luglio.

 

E c’è ben poco da illudersi, oggi, che la reazione del suo paese, dell’Europa e dell’occidente tutto sia diversa rispetto all’attentato francese. “Anche la commossa partecipazione all’assassinio del prete cattolico Jacques Hamel, giustiziato mentre diceva messa in una chiesa della Francia settentrionale sotto gli occhi di cinque fedeli da due autoproclamatisi guerrieri dello Stato islamico, si è smorzata in fretta. La modalità di reazione europea è sempre la stessa: al disgusto e all’indignazione fanno puntualmente seguito appelli alla tolleranza e solenni dichiarazioni sull’irreversibilità della coesistenza pacifica. Tutto giusto, ma tutto abbastanza insensato”, ha scritto.

 

 

C’è un problema che trae origine da lontano, osserva Alexander Kissler, autore tra le altre cose del saggio “Perché l’occidente deve difendere i suoi valori”: il senso di colpa che porta a conseguenze estreme e folli. Un esempio concreto è rappresentato dalla strage nella chiesa copta di San Pietro al Cairo, due domeniche fa. Le vittime erano tutte credenti praticanti, “persone che avevano fatto del cristianesimo qualcosa di proprio e di personale. Tuttavia, un rapporto così intenso con la propria religione è ormai agli occhi di molti cristiani d’occidente qualcosa di sospetto, anzi, d’irrazionale. Pertanto, la prima causa del disinteresse e del disimpegno attuale è quella che si potrebbe definire ‘la dimenticanza religiosa’ dell’occidente”. Il fatto è che, osserva il saggista tedesco, “noi ci occupiamo delle nostre origini solo, ormai, in modo ironico”. Ma c’è un’altra ragione di tale assopimento progressivo dell’occidente, che in qualche modo si lega alla prima motivazione e che ha a che fare con l’inferno in cui ormai da anni vivono i cristiani del vicino e medio oriente, intrappolati in Siria e Iraq dall’avanzata del cosiddetto Califfato retto da Abu Bakr al Baghdadi. “Nel bagaglio di nozioni dell’europeo medio – dice Kissler – queste regioni sono pensate come il cuore del mondo islamico ed è qui che emerge automaticamente il senso di colpa per la colonizzazione e lo sfruttamento da parte dell’occidente cristiano. E la cacciata dei cristiani, che qui hanno radici storiche ben più profonde, in questa prospettiva pesa meno del mito di un’intrusione o di un’infiltrazione cristiana”.

 

Il problema maggiore e più evidente ha a che fare con la persecuzione, attuata da musulmani devoti alla causa dell’islamismo politico (generalizzare non fa mai bene, specie quando si tratta di realtà complesse e articolate). “Questo certo non rende la faccenda in sé migliore o peggiore di quando i cristiani sono discriminati dai nazionalisti indù o dai regimi atei. Ma di certo la questione viene resa più delicata e pressante. La realtà di una ‘guerra contro i cristiani nel mondo arabo’ viene negata ufficialmente sia dai fedeli cristiani sia da quelli musulmani”. Sul perché accada ciò, la spiegazione che si dà il responsabile della cultura di Cicero è che “c’è la paura di tirarsi addosso l’accusa di razzismo e il timore di essere costretti a osservare quello che accade qui, in Europa, lasciando perdere il telescopio usato per guardare i fatti lontani”. E così facendo si chiudono gli occhi, ad esempio, sulla nuova “cultura dei divieti che sta prendendo piede nel centro di Vienna; regole di comportamento e di abbigliamento che ci fanno tornare indietro nel tempo”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.