Libera chiesa in libero referendum

Matteo Matzuzzi
I mugugni sulle unione civili ci sono ma la segreteria di stato vaticana non ha intenzione di far pesare sul referendum costituzionale i giudizi sul Ddl Cirinnà. Niente barricate. Quel segnale in arrivo su Civiltà cattolica

Roma. Di fare barricate o rappresaglie dopo l’approvazione tramite fiducia della legge Cirinnà sulle unioni civili, magari propiziando il boicottaggio del referendum costituzionale di ottobre cui tanto tiene Matteo Renzi, in Vaticano non ci pensano nemmeno. Certo, il provvedimento passato ieri alla Camera non piace e il segretario della Conferenza episcopale italiana, Nunzio Galantino – assai vicino agli umori di Santa Marta – ha fatto sapere che si tratta di una “sconfitta di tutti”. Giudizio che seicento giuristi, compresi quelli del Centro Livatino, condividono nel definire il testo approvato “iniquo e incostituzionale”. L’arcivescovo di Monreale, mons. Michele Pennisi, già responsabile della Cei per la scuola e l’educazione, ha calcato ancora di più la mano, parlando di “fascismo strisciante” da parte del governo, “un qualcosa che in nessun modo condivido”. Ma da qui a promettere vendette, ce ne passa.

 

Ecco perché le dichiarazioni del portavoce e organizzatore del Family Day, Massimo Gandolfini, secondo il quale “Renzi va fermato e a ottobre bisogna dire no al referendum costituzionale” prima che “trasformi l’Italia in un premierato”, rischio “che con l’abolizione del Senato diventa molto concreto”, oltretevere sono state lette con perplessità. In Segreteria di stato non si ha alcuna intenzione di legare quel che è accaduto con il disegno di legge sulle unioni civili al voto che il prossimo autunno deciderà la sorte della Carta costituzionale che, tra le altre cose, porrebbe fine al cosiddetto bicameralismo perfetto (o paritario). Né si vuole alimentare una tensione che possa favorire l’ascesa e il consolidamento delle forze populiste, vera preoccupazione dei vertici vaticani, al di là dei cortesi e diplomatici “auguri” di conquistare “ogni successo” formulati dal cardinale Pietro Parolin alla candidata pentastellata alla carica di sindaco di Roma, Virginia Raggi. Un mero gesto di bon ton che ben poco aveva a che vedere con una “benedizione” o addirittura un aperto sostegno.

 

Nel prossimo numero di Civiltà Cattolica uscirà sul tema un articolo del giurista Francesco Occhetta, che già in passato aveva evidenziato gli aspetti positivi della riforma, soprattutto in relazione alla composizione e alle prerogative del Senato. Sempre sul periodico dei gesuiti – che per andare in stampa deve da sempre ottenere il placet della Segreteria di stato vaticana – lo stesso Occhetta due anni fa scriveva che “il bicameralismo perfetto è rimasto un unicum in Europa a causa della farraginosa e costosa modalità di approvazione da garantire a tutte le leggi; inoltre, è opinione di molti che una Camera, lavorando in prima lettura, è meno rigorosa, perché sa che potrà essere corretta dall’altra”. Non solo, perché il giurista redattore della Civiltà Cattolica aggiungeva che “a distanza di molti anni, la rilettura dei lavori della Costituente fa emergere che il sistema bicamerale perfetto degli articoli 55 e seguenti della Costituzione è stato ‘il compromesso infelice’ di posizioni politiche inconciliabili tra loro. La dottrina lo ha chiarito ormai da anni”. Nessun dubbio, dunque, che l’orientamento – se non “entusiasta” – sia quantomeno positivo circa i princìpi cardine della riforma che sarà sottoposta al voto in autunno. Anche perché padre Occhetta faceva notare che “sia il governo Renzi sia il precedente governo Letta hanno recuperato lo spirito della Costituente, pensando a un Senato che sia il ponte tra lo stato e le autonomie locali e il luogo della ricomposizione dei conflitti politici”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.