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Tutto quello che sapete è falso, almeno nel caso dell'anidride carbonica

Carlo Stagnaro

Tutto quello che sapete è falso, almeno nel caso dell’anidride carbonica – il gas satanico sospettato di contribuire all’effetto serra. Lo afferma uno studio della Cornell University, secondo cui i modelli climatici tendono a sovrastimare sistematicamente la quantità di CO2 emessa dai suoli, che a sua volta è circa dieci volte superiore a quella prodotta dalle attività umane.

Tutto quello che sapete è falso, almeno nel caso dell’anidride carbonica – il gas satanico sospettato di contribuire all’effetto serra. Lo afferma uno studio della Cornell University, secondo cui i modelli climatici tendono a sovrastimare sistematicamente la quantità di CO2 emessa dai suoli, che a sua volta è circa dieci volte superiore a quella prodotta dalle attività umane. Se l’allarme global warming si ridimensiona, a guadagnarne è soprattutto la cenerentola dell’energia, cioè il carbone: un combustibile spesso nel mirino delle organizzazioni ambientaliste per la maggior quota di biossido di carbonio rilasciata nell’atmosfera. Ma questa non è, per i fan del carbone, l’unica buona notizia: un’altra, e forse ancora più rilevante, viene da una ricerca di Nomisma Energia, secondo cui la presenza di grandi centrali a carbone non ha effetti negativi sull’inquinamento del terreno e dell’aria.

Infatti, se la CO2 non può essere definita un inquinante in senso stretto, lo stesso non si può dire di altre sostanze che escono dai cicli industriali. “Le statistiche dell’Agenzia europea dell’ambiente – sta scritto nel rapporto – indicano che per la contaminazione dei suoli le centrali elettriche contano solo per il 4 per cento del totale”. Inoltre, le emissioni dal camino “si disperdono nell’atmosfera e non incidono sul contenuto di metalli nel suolo circostante”; per quel che riguarda l’inquinamento dell’aria, “le centrali elettriche, tra cui anche quelle di grande taglia a carbone, contano per il 3 per cento delle polveri sottili presenti in atmosfera originate dall’uomo” e il settore elettrico “in Italia ha drasticamente ridotto le emissioni di polveri negli ultimi venti anni”.

A premere per controlli ambientali sempre più rigorosi non è stata tanto la legislazione, quanto la crescente consapevolezza, da parte delle imprese, che un impatto eccessivo non era tollerabile né dal punto di vista ecologico né da quello del rapporto con le popolazioni locali, e neppure, alla lunga, sotto il profilo economico-reputazionale. A questo va aggiunto che, talvolta, sono sorte incomprensioni più o meno volute a causa di un’interpretazione ottusa della normativa, per esempio evitando di rilevare l’eventuale presenza in natura di elementi inquinanti che sono prodotti anche dai processi industriali. Eclatante il caso dello stagno: “Applicando il limite dello stagno ai suoli agricoli, dovrebbero essere bonificati tutti i terreni in Italia”, scrivono gli analisti di Nomisma.

Un discorso analogo vale per il particolato: “I numeri di giorni di superamento dei limiti delle PM10 e le medie di concentrazione nel 2005, evidenziano che le province dove sono presenti centrali a carbone di grande dimensione hanno valori relativamente bassi”. Naturalmente, ciò non vuol dire che tali impianti abbiano il magico potere di ripulire l’atmosfera: semplicemente, mostra come le quantità di inquinanti riversati all’esterno, che peraltro devono restare al di sotto dei limiti di legge, non siano tali da alterare significativamente le condizioni generali dell’ambiente, quali che esse siano. Dice al Foglio Francesco Ramella, esperto di trasporti e di inquinamento dell’aria: “Da decenni la qualità dell’aria delle nostre città è in costante miglioramento. L’impatto sulla nostra salute è quindi piccolo e continuerà a ridursi nei prossimi anni senza necessità di ulteriori interventi pubblici”. Se l’ecologia fosse un giallo, Sherlock Holmes riterrebbe le prove soddisfacenti: il carbone non è l’assassino.