Il reato di “traffico di influenze” dal punto di vista storico

Massimo Bordin
Nuove fattispecie di reato portano inevitabilmente a raffinati dibattiti giuridici. Complicati ma non privi di riflessi politici. Già fatto, e su questo stesso giornale anche meglio di quanto si sia fatto qui. Proviamo allora a prendere il reato di “traffico di influenze” dal punto di vista storico.

Nuove fattispecie di reato portano inevitabilmente a raffinati dibattiti giuridici. Complicati ma non privi di riflessi politici. Già fatto, e su questo stesso giornale anche meglio di quanto si sia fatto qui. Proviamo allora a prendere il reato di “traffico di influenze” dal punto di vista storico: entra nel codice con Monti premier e Paola Severino ministro di Giustizia, con il Pd entusiasta e il Pdl molto meno, ma non è una invenzione giuridica di qualche pm più colto della media. E’ presente già nei paesi di Common Law ma nasce in Francia nel 1889 a causa di un presidente della Repubblica che “ebbe la disgrazia di avere un genero”. Jules Grévy, presidente borghese dopo il maresciallo Mac Mahon, incappò in quello che fu chiamato lo “scandale des decorations”. In parole povere, suo genero, parlamentare, faceva commercio di “legion d’onore”.

 

Processato fu assolto, perché il reato di corruzione si applicava in Francia ai pubblici ufficiali e un parlamentare, decise una Corte d’appello, non può essere considerato tale. Interessante, no? Ma andiamo avanti. Popolo inevitabilmente in tumulto anche se il genero venne rieletto trionfalmente. Gazzette dell’epoca scatenate, articoli, vignette, perfino canzoni nei tabarins. A rimetterci fu l’onesto Grevy. Ad arricchirsi fu il codice penale francese, del nuovo reato che nacque nell’epoca tormentata del rodaggio della terza repubblica. Epoca storicamente assai significativa. Per capirlo basta leggere il fondamentale testo di Zeev Sternhell “La droite révolutionnaire”, pubblicato in Italia da Corbaccio nel 1998, con il sottotitolo “Le origini francesi del fascismo”.

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