ANSA/FABIO FRUSTACI 

Contro l'eutanasia

Legalizzare il suicidio assistito significa progettare un sistema che vede nella morte la vera libertà

Ferdinando Cancelli

Non siamo di fronte, come Cappato e altri continuano a sostenere, alla “legalizzazione del suicidio assistito”. La “legalizzazione” infatti dovrebbe contenere anche delle chiare e pratiche indicazioni sulle modalità del fine vita

È stata diffusa la notizia che un paziente poco più che quarantenne, tetraplegico dopo un incidente stradale, avrebbe ottenuto di suicidarsi con l’assistenza dell’équipe medica, in Italia. Il comitato etico competente ha dato parere favorevole attestando “l’autonomia e la libertà” della richiesta del paziente affetto, come dice l’ormai famosa sentenza 242 della Corte costituzionale, da una patologia irreversibile “fonte di sofferenze fisiche o psicologiche” intollerabili. Ma di problemi ce ne sono tantissimi e tutto si può fare di fronte a questo salto in avanti tranne che annunciarlo come una vittoria della civiltà. Innanzitutto la sentenza in questione si limita a dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’articolo 580 del codice penale “nella parte in cui non esclude la punibilità di chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio assistito” di chi ne avrebbe il presunto diritto.

Non siamo per nulla di fronte, come Cappato e altri continuano a sostenere, alla “legalizzazione del suicidio assistito. La “legalizzazione” dovrebbe infatti contenere anche delle chiare e pratiche indicazioni sulle modalità di uccisione: quale veleno assumere, quanto assumerne, come predisporre gli adeguati macchinari per permettere a chi non può più muovere braccia e gambe di auto-iniettarsi il farmaco. E anche chi dovrebbe prescriverlo. Siamo certi che nessuno solleverà obiezioni legali, sulla base della sola sentenza 242, al “medico” che prescriverà ad esempio del pentobarbitale in dosi letali? Io, da medico, mi aspetterei da un momento all’altro di dover riattraversare tutto il percorso di Marco Cappato e di dover rendere ragione, oltre che alla mia coscienza, al mio Ordine Professionale di un comportamento fino a oggi totalmente estraneo alla deontologia professionale medica.

Si deve sempre scendere nello specifico e nella pratica per permettere a chi non è del mestiere di far emergere la brutalità e la semplificazione fasulla che sta dietro tutto questo “accanimento per la morte” che qualcuno, vigliaccamente, vende come una conquista della libertà. Questo qualcuno sa che tra le ragioni più importanti di questa “battaglia” vi è il risparmio di risorse economiche per una società sempre più egoista. Un risparmio che, giunti a questo punto, sarebbe anche di risorse “umane” e spirituali perché, occorre dirlo, sempre meno sono quelli che riescono a stare con professionalità accanto a malati sofferenti, a volte richiedenti, sempre impegnativi sotto molti punti di vista. Chi vorrà davvero legalizzare il suicidio assistito dovrà per una volta sporcarsi davvero le mani con tutta questa faccenda, assumendosi il coraggio storico di smantellare tutti gli aspetti umani che sono stati finora alla base della medicina e di progettare per bene un sistema che vede nella morte la vera libertà.

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