Eutanasia o eugenetica?

Sul referendum che, se ammesso dalla Corte costituzionale, depenalizzerà l’eutanasia, cioè la possibilità per un terzo di procurare la morte al consenziente, c’è ancora molta confusione. Si confonde questo tema con quello del suicidio assistito che, in casi specifici ben definiti, la consulta ha ritenuto debba essere depenalizzato. Si tratta di due fattispecie diverse, come ha spiegato con chiarezza Giovanni Maria Flick in un’intervista concessa qualche giorno fa ad Avvenire. Se venisse abrogata la norma come richiesto dal testo del referendum, osserva, si avrebbe uno squilibrio evidente: “In sostanza si finisce per punire l’aiuto al suicidio (‘meno grave’) e non l’omicidio del consenziente (che è ‘più grave’)”. Al di là delle contraddizioni che sfiorano l’assurdo, ci sono anche questioni sostanziali che vanno esaminate.

Lo fa con un intervento su Repubblica Luciano Violante, in cui, oltre a riprendere le questioni evocate da Flick, pone il problema di “quale sarà il destino dei malati vecchi e poveri in una società che invecchia, con una sanità costosa, dove sia possibile sopprimere chiunque lo consenta…?”. Instillare una sorta di senso di colpa in chi, per le sue condizioni di non autosufficienza, costituisce un peso per i famigliari è fin troppo semplice. Le norme in vigore, che in realtà mantengono una zona grigia nella quale contano gli affetti e la sensibilità, insieme a una presenza professionale dei medici, saranno imprecise, com’è inevitabile in materie di questo tipo, ma almeno non spingono il malato o il disperato verso un esito fatale anche quando le cause psicologiche possono essere temporanee o superabili. Il rischio che l’eutanasia diventi il prodromo di una sorta di nuova eugenetica che tende a eliminare chi è inutile o rappresenta un costo è reale, anche se naturalmente non è questo l’obiettivo di chi ha firmato il quesito referendario. Anche per questo bisogna riflettere riflettere riflettere prima di arrendersi alla logica della falsa autodeterminazione.