(foto LaPresse)

Bugie e verità quando si parla di aborto

Antonio Grizzuti

I tempi per le interruzioni volontarie di gravidanza si sono allungati? Le donne sono costrette a cambiare regione? E i medici obiettori? Qualche numero

Quando si parla di aborto e legge 194 le polemiche appaiono inevitabili. Giustamente, perché il tema è di grande rilevanza etica e astenersi dal prendere posizione equivale a sposare l’accidia infausta di “coloro che stan sospesi”. Ma, al netto delle polemiche e delle posizioni ideologiche assunte da ambo le parti, cosa rimane da fare se non appigliarsi all’oggettività dei numeri e cercare di rintracciare in essi una traccia di verità nel pantano morale in cui ci troviamo?

A questo proposito è bene come prima cosa sottolineare che in ottemperanza all’articolo 16 della legge 194/78 il Ministero della Salute è tenuto a riferire annualmente al Parlamento circa lo stato di attuazione della norma; i risultati del monitoraggio sono resi pubblici attraverso un documento che contiene dati e indicazione preziose e che, se attentamente consultate, gettano una nuova luce sul fenomeno.

 

Il numero delle IVG (interruzioni volontarie di gravidanza) è in diminuzione? Parzialmente vero. Nel 2015 il numero delle interruzioni si è fermato a 87.639, -9,3% rispetto all’anno precedente e più che dimezzate rispetto al 1983, annus horribilis con quasi 235 mila aborti. L’indice di abortività (numero di IVG per mille donne tra i 15 e 49 anni) si attesta a 6,6 nel 2015 contro il 7,1 del 2014 (addirittura -61% rispetto al 1983). Fin qui le belle notizie: il rapporto evidenzia l’esplosione delle vendite dell’Ulipristal, il contraccettivo d’emergenza noto anche come “pillola dei cinque giorni dopo”, incremento senza dubbio legato all’abolizione della prescrizione medica di questo farmaco per le maggiorenni: le confezioni vendute nel 2015 sono state infatti centoquarantacinquemila contro le sole sedicimila del 2014.

 

Le donne straniere abortiscono di più rispetto alle italiane? Vero. Quasi un terzo delle interruzioni riguarda cittadine non italiane, con un tasso di abortività del 17,2/1000.

 

I tempi di attesa si sono allungati? Falso. La percentuale di interruzioni effettuate entro quattordici giorni dal rilascio del certificato si attesta al 65,3%, contro il 59,6% del 2011, in costante ascesa. Per contro è diminuita la percentuale delle IVG effettuate oltre le tre settimane di attesa, dal 15,7% del 2011 al 13,2% del 2015.

 

La percentuale di medici obiettori è in aumento? Parzialmente vero. I medici delle strutture ospedaliere che si rifiutano di praticare l’interruzione sono il 70,7% nel 2014, contro il 58,7% del 2005, ma la percentuale è sostanzialmente stabile dal 2006. Gli obiettori nei consultori rappresentano solamente il 15% del totale.

La combinazione di questi ultimi due dati – riduzione dei tempi di attesa e aumento degli obiettori – rivela che parlare di peggioramento del servizio offerto non ha senso, semmai – se così si può dire – assistiamo ad un aumento della produttività dell’IVG.

 

Le donne che intendono abortire sono costrette a cambiare regione? Falso. Il 92,2% delle IVG viene praticata nelle regioni di residenza, addirittura l’87,9% nella stessa provincia. I tassi di mobilità sono bassissimi.

 

L’offerta di strutture per l’interruzione è insufficiente? Falso. Il Ministero “pesa” questo fattore con tre parametri: le strutture che offrono l’IVG sul numero totale delle strutture dotate di reparto di ostetricia e ginecologia, l’offerta di IVG in relazione alla popolazione femminile in età fertile e ai punti nascita e il carico di lavoro per il medico obiettore. Nel primo caso le strutture che permettono di praticare l’IVG sono 390 su 654, dunque il 59,6%. Eccezion fatta per alcune situazioni critiche (Bolzano, Molise e Campania) il livello della copertura viene ritenuto soddisfacente. Per quanto riguarda il secondo parametro, se il numero di IVG rappresenta il 20% del numero di nascite, il numero di punti IVG è pari al 74% del numero dei punti nascita, perciò di molto superiore a quello che sarebbe se si rispettassero le proporzioni tra IVG e nascite. Infine, il numero medio di interruzioni praticate per ginecologo è di “sole” 1,6 alla settimana.

 

Le donne che decidono di abortire hanno un basso livello di istruzione? Falso. Se consideriamo solo la platea italiana, si scopre che ben il 69% ha almeno il diploma, e il 20,4% addirittura una laurea (percentuale che scende al 50,9% se consideriamo le straniere).

 

Le donne che richiedono l’IVG sono in prevalenza disoccupate? Falso. Il 45,1% delle italiane che praticano l’interruzione è occupata, il 20,6% disoccupata, il 21,1% casalinga e il 12,7% studentessa (queste ultime due categorie rientrano tra gli inattivi, ovvero coloro che non lavorano ma nemmeno ricercano un’occupazione).

 

I dati riportati dimostrano che spesso chi partecipa al dibattito sull’aborto lo fa a partire da presupposti ideologici che poco o nulla hanno a che fare con la realtà dei numeri. A dispetto di quanto si sente dire in giro, l’offerta dell’IVG è in costante miglioramento in Italia, e la percentuale di obiettori praticamente invariata nell’ultimo decennio. Fatti e non supposizioni che dimostrano come la scelta della Regione Lazio riveli un orientamento malsano dal punto di vista etico, discutibile dal punto di vista legale e incomprensibile dal punto di vista statistico.

 

fonte dei dati: Aborto, relazione annuale al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 194/78

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