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Quello che nessuno si chiede su Giulia, trasformata in bandiera abortista

Nicola Imberti

Un caso del 2015 usato oggi contro i medici obiettori. Qualche dubbio

Roma. Giulia ha 41 anni, due figli ed è un libero professionista di Padova. Giulia, in realtà, non si chiama Giulia. Per parlare di lei il quotidiano il Gazzettino ha dovuto darle un nome di fantasia. Lo ha fatto perché la sua è la storia di una donna che, scoperto di essere incinta del terzo figlio, ha deciso di abortire. Ma per riuscirci ha dovuto peregrinare per ben 23 ospedali. E solo alla fine, rivoltasi alla Cgil di Padova, è riuscita a praticare l’interruzione volontaria di gravidanza nella sua città, nella prima struttura che l’aveva respinta.

 

Una vicenda così, raccontata a pochi giorni di distanza dal bando per medici abortisti pubblicato dalla Regione Lazio, nel momento in cui si torna a discutere di “diritto alla morte”, è il modo migliore per trasformare un dramma privato in una battaglia pubblica.

 

Intervistando Giulia due giorni fa il Gazzettino ha scritto che tutto è accaduto a “metà dicembre” omettendo, o forse non sapendo, che si trattava del dicembre 2015. Come mai un fatto così grave è rimasto nascosto per quasi 14 mesi? “Noi avevamo denunciato tutto già all’epoca”, spiegano al Foglio dalla Cgil di Padova. “Forse, facendo un monitoraggio della situazione, è riemersa”. In ogni caso, aggiungono, da quando la vicenda è diventata pubblica altre donne hanno denunciato la difficoltà di abortire (sul Mattino di Padova, sempre con estrema attenzione alla privacy, si accenna a un fatto simile “accaduto lo scorso febbraio”).  E la preoccupazione maggiore del sindacato è per le tante “cittadine immigrate” che magari, davanti a un diniego, “non sanno come far valere i propri diritti”.

 

La colpa, dicono, è ovviamente dei medici obiettori. Che si moltiplicano rendendo di fatto inapplicabile la legge 194. In realtà, stando ai dati dell’ultima relazione sulla legge presentata dal ministero della Salute in Parlamento, il Veneto non sembra avere problemi evidenti. Nel 2015 sono state effettuate 5.044 interruzioni volontarie di gravidanza, quasi il 50 per cento entro i 14 giorni dalla certificazione del medico, altre 1.325 tra i 15 e i 21 giorni. Su 46 strutture regionali, 34 (dati 2014) praticano l’Ivg. E anche se è vero che il 77 per cento dei ginecologi è obiettore (nel 2014 il 7 percento in più della media nazionale) bisogna tenere conto che nel 2006 erano il 79,1 per cento e che, in 8 anni, la percentuale di aborti praticati entro le due settimane è passata dal 34 al 50,5 per cento. In media, in Veneto, un medico non obiettore svolge 1,5 Ivg a settimana. Mentre il 100 per cento degli aborti è stato effettuato in un istituto pubblico.

 

Insomma non sembrano esserci particolare criticità. Ma l’obiezione è già pronta: chi può dirlo che non ci sia chi, scoraggiato dai no di ginecologi e aziende ospedaliere, non decida di intraprendere strade più pericolose e costose? L’aborto è un diritto, tuonano in coro, e come tale va garantito.

 

La professoressa Daria Minucci è stata, fino al 2010, la direttrice della divisione ostetricia dell’Azienda ospedaliera di Padova (la stessa che ha fatto abortire Giulia). Ed è piuttosto stupita dal racconto: “Non è quello che accadeva normalmente quando c’ero io. Magari si tratta di un caso eccezionale, che può sempre accadere. In ogni caso il Veneto è l’unica Regione in cui i medici obiettori possono rilasciare l’attestato per l’interruzione di gravidanza”. Intanto si indaga. La regione, i Nas dei Carabinieri, l’ospedale, tutti a cercare di capire cosa sia accaduto. Al Corriere del Veneto il direttore della Clinica ginecologica e ostetrica dell’Università di Padova, Giovanni Battista Lardelli, assicura: “Noi non abbiamo rifiutato alcuna paziente”. Il direttore generale dell’Usl Euganea, Domenico Scibetta, a conoscenza della vicenda fin dal 2015, ammette che “non c’è riscontro oggettivo di dinieghi da parte della nostre strutture”. Nessuna denuncia è stata presentata all’epoca. Anche la diretta interessata, nella sua intervista, fa notare che “eravamo a ridosso di Natale” e la cosa non ha certo aiutato. Insomma forse il caso c’è, forse no. Solo Giulia lo sa. E magari tutto questo clamore, ha solo riaperto una ferita che, a fatica, si stava chiudendo.

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