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La smania di fotografare il Beato Angelico. Il paradosso della “reliquia” digitale
Nella grande mostra fiorentina tutti immortalano ogni dipinto del frate pittore, ignorando che quelle opere nascevano come oggetti vivi del Quattrocento: pale, libri, armadi, crocifissioni portatili. Così, invece di ricomporre il loro senso, li si smembra in immagini senza consonanza
Sul Beato Angelico e sulla bellezza dei suoi dipinti ha già scritto con autorevolezza Adriano Sofri, lasciando capire perché i comprimari dell’epocale mostra fiorentina – da Filippo Lippi e Lorenzo Monaco in giù – diano al confronto l’impressione di fare ciò che possono. Resta tuttavia il mistero del perché tutti ma proprio tutti i visitatori della mostra fotografino le opere; lo fanno senza distinzione d’età, senza imporre il proprio faccione in un selfie con la Madonna sullo sfondo né improvvisare balletti per TikTok, senza tenere in considerazione che dei capolavori del Beato Angelico esistono in realtà fior di cataloghi per tutte le tasche nonché infinite riproduzioni sul web, meglio illuminate e meglio inquadrate di qualsiasi scatto rubato col telefono. Vedono un dipinto, lo fotografano, passano al successivo, lo fotografano e così via.
Tale smania fotografica sembra dimenticare il dettaglio che dalla mostra emerge invece quasi con prepotenza: le opere del Beato Angelico non sono arte avulsa dalla realtà e sospesa nell’iperuranio, non sono pura bellezza formale, bensì decorazioni di oggetti di uso quotidiano. Stiamo parlando di pale d’altare, armadi, libri, addirittura crocifissioni sagomate da portare in giro per rendere più convincenti le prediche. Con estrema fatica i curatori hanno raccolto opere sparpagliate anche in venti posti differenti, pur di ricostruire la presenza viva dell’oggetto concreto che costituivano e immergerci di nuovo nel Quattrocento. Chi invece persiste a voler vivere nel Duemila e fotografa un angioletto qui e un san Francesco lì, una bionda Vergine da una parte e un’anima beata dall’altra, sta in fin dei conti compiendo l’operazione inversa, uno smembramento che toglie consonanza alla bellezza, rendendola un’arida congerie di pixel.
A meno di non voler prendere in considerazione l’unica spiegazione razionale della perfezione tecnica del Beato Angelico: lui vedeva davvero il Paradiso così com’è e lo ritraeva seraficamente per mostrarlo in diretta a fedeli e committenti, per spiegare come sono fatte le ali degli angeli, per farci guardare negli occhi Gesù e la Madonna. Soltanto in questo caso ha senso la foto a ogni dipinto: non è vuota ammirazione estetica né vanagloriosa caccia ai like facili sui social. È una reliquia.
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