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bandiera bianca
Tom Stoppard e la diffidenza degli italiani di fronte agli scrittori di parole
La morte del drammaturgo e regista britannico che ha vinto l'Oscar per la sceneggiatura di "Shakespeare in Love” è passata in sordina sui giornali italiani. Ma non è solo questione di lingua
Ricordo ancora le risate quando, guardando “Shakespeare in Love” in un cinema di Desenzano, vidi la scena in cui il protagonista chiede il nome a un bambino intento a torturare dei topolini, e quello risponde: “John Webster”. Tragicamente, risi unico in tutta la sala: per apprezzare la battuta, bisognava sapere che Webster era un drammaturgo un po’ più giovane del Bardo ma molto, molto più efferato. Questo era l’effetto di Tom Stoppard, ossia un’immane soddisfazione intellettuale nelle rare occasioni in cui si riusciva a cogliere i più minuscoli riferimenti colti nei suoi copioni, senza altrimenti perdersi chissà cosa nel godimento della trama.
Morto nel weekend, Stoppard è stato il più grande drammaturgo anglofono dei suoi tempi, ciò che in precedenza erano stati Pinter e Beckett, Congreve e Shakespeare. Alla notizia, in Italia, sono stati riservati strapuntini, mentre – ad esempio – l’Observer le ha dedicato l’intera prima pagina. Non è solo questione di lingua: “Shakespeare in love” lo abbiamo visto anche qui, nelle nostre innumerevoli Desenzano. È piuttosto una certa diffidenza che coglie noi italiani di fronte agli scrittori di parole, in grado di combinare la perfezione tecnica al distacco ironico della divinità che dà il primo calcio al creato e poi lo guarda funzionare da sé. Noi preferiamo gli scrittori di fatti (“tratto da una storia vera!”) e i proclami roboanti e sdegnosi. Come potevamo apprezzare l’autore di “Rosencrantz e Guildenstern sono morti”, che rilegge Shakespeare attraverso la lente di Oscar Wilde? Come potevamo capire l’autore di “Dogg’s Hamlet”, in cui ci vengono mostrate le prove di un “Amleto” in una lingua immaginaria? Oppure “I mostri sacri”, in cui a un certo punto Lenin, Joyce e Tristan Tzara si mettono a parlare per limerick in modo del tutto coerente alla trama? Se dall’originaria Cecoslovacchia fosse emigrato in Italia, Stoppard avrebbe ottenuto le prime pagine dei giornali solo firmando appelli contro questo e contro quello, oppure raccontando la propria lacrimevole storia vera di bambino in fuga dal regime. Invece è finito a Nottingham e, così, ha avuto agio di sperimentare senza venire ignorato dal pubblico. Avrebbe meritato il Nobel, ma è riuscito a ottenere molto di meglio: un Oscar.