
Bandiera bianca
Contro la paternalistica censura dello spot con Diletta Leotta
La mannaia del giurì dell’Istituto di autodisciplina pubblicitaria si è abbattuta su una réclame in cui un bambino resta a bocca aperta davanti a una cantante in minigonna. La sessualità viene schiacciata dal controllo sociale, ma senza turbamenti non si cresce mai
Il giurì dell’Istituto di autodisciplina pubblicitaria esiste veramente e ha sospeso la messa in onda della réclame di una nota marca da scarpe da lavoro, per intenderci quella con Diletta Leotta, poiché sessualizza lo sguardo di un bambino: vi appare infatti un frugolo di sette od otto anni che resta a bocca aperta davanti a una cantante in minigonna. Se pure il voice over si limitava a un innocente “la prima volta che sei rimasto senza parole”, di cui penso chiunque di noi possa fornire analoga testimonianza attorno a quell’età, implacabile si è abbattuta sulla nuance erotica la mannaia del moralismo da gruppo whatsapp delle mamme in servizio permanente effettivo.
Certo, mai avrei creduto che il giurì dell’Istituto di autodisciplina pubblicitaria fosse un così avido lettore di Michel Foucault, secondo il quale si può praticare un efficace controllo sociale facendo schiacciare la sessualità infantile dalla pedagogia, armata di ditino alzato per significare che quelle cosacce non si fanno e pronta a privare l’istinto di ogni aspetto connesso al piacere. Molte opere d’ingegno fanno riferimento ai primi incomprensibili turbamenti della crescita – da Proust a Battiato, da Moravia ai film con Laura Antonelli – proprio perché, senza turbamenti, non si cresce mai. In attesa di un apposito giurì che le censuri tutte, mi limito a notare questo: una nazione che non inizia a trattare i bambini da adulti finirà per trattare gli adulti come bambini.


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