(foto EPA)

Bandiera Bianca

La banalità del calcio femminile spiegata con una poesia

Antonio Gurrado

La più celebre poetessa vivente britannica, Carol Ann Duffy, ha dedicato allo sport un'ode. Non è un caso che sia stucchevole e a tratti imbarazzante

Sentite qua: “Cartellino rosso per la misoginia. / Punizione per il progresso. Nessuno di noi è in fuorigioco”. Sembra un generatore automatico di metafore banali da consegnare alla faticosa recitazione coatta dei calciatori prima delle partite; invece è, con tanto di scansione in versi, un breve estratto dell’ode che la più celebre poetessa vivente britannica, Carol Ann Duffy, ha appena dedicato al calcio femminile. Qui l’epinicio si concentra su Pat Dunn, il primo arbitro donna d’oltremanica, però altrove ce n’è anche per la prima capitana nera della nazionale inglese, gratificata dell’appellativo “prima capitana nera / dell’orgoglio”, e il resto procede su questo tono.

Non so se Carol Ann Duffy abbia voluto subdolamente implicare che il calcio femminile sia brutto come questi versi, ma immagino di no; magari voleva solo farci capire che, se si riduce il calcio femminile a grimaldello dei diritti, il risultato non può che essere stucchevole o a tratti imbarazzante come la sua ode. A meno che non abbia voluto dimostrarci coi fatti che, quando il calcio femminile raggiungerà quello maschile per qualità e interesse, per appassionarsi non ci sarà più bisogno di poesie didascaliche, di pubblicità forzate o di campagne moralizzatrici: basterà guardare le partite.

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