Giuseppe Baturi (Ansa) 

bandiera bianca

"La religione è qualcosa di molto personale", dice il segretario generale della Cei. Problemi

Antonio Gurrado

La "rivelazione" di monsignor Giuseppe Baturi pone una questione etimologica, una storica, una teologica e infine una questione prettamente logica

Quindi ci siamo sbagliati: era qualcosa di molto personale, una questione privata, una faccenda in cui ciascuno se la vede per sé. Intervenendo a chiusura dei lavori del Consiglio episcopale permanente, il segretario generale della Cei monsignor Giuseppe Baturi ha detto che “la religione non è mai uno strumento identitario, è qualcosa di molto personale”.

 

La rivelazione pone alcuni problemi. Uno è etimologico: bisognerà cambiare nome alla religione, poiché deriva da quod religat, ossia ciò che lega una persona all’altra, ci tiene insieme, ci unifica nella medesima identificazione. Uno è storico: bisognerà riscrivere tutto il passato dell’Occidente, per esempio due secoli di guerre fra cattolici e protestanti, per esempio le crociate: “Scusate, perché invadete in armi i nostri villaggi, violentate le nostre donne, lanciate i neonati dai tetti, ci trafiggete l’inguine con le lance?” “È qualcosa di molto personale” “Ah”. Un altro è teologico: bisognerà costruire chiese molto più piccole perché, se la religione è qualcosa di molto personale, allora ogni singola persona segue una religione diversa. Ma, soprattutto, c’è un problema logico: se la religione è qualcosa di molto personale, allora perché c’è un Consiglio episcopale permanente, perché c’è la Cei, perché il suo segretario generale rilascia dichiarazioni?

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