(foto Ap)

Bandiera Bianca

L'incoronazione di Carlo III non ha fatto ridere o piangere ma tutt'e due

Antonio Gurrado

Ridurre l'evento di sabato al metro del quotidiano significa trasformarsi nel principe Louis: che sbadiglia, sghignazza, si distrae. Ma ha una giustificazione che molti analisti non hanno

Sbaglia chi si domanda se l’incoronazione di Carlo III facesse ridere o facesse piangere. Faceva ridere, è ovvio, per via della pompa incongrua, dei cambi d’abito degni di Wanda Osiris, della curiosa posizione assisa con uno scettro per mano, delle pignolerie come quella dell’arcivescovo di Canterbury che si china a controllare se la corona è perfettamente dritta. Faceva piangere, è ovvio, per via del bacio del principe al re, dell’intervento del primo prelato cattolico dai sanguinosi tempi della riforma, del dirompente coro di Händel, del momento in cui il sovrano si è messo in camicia per l’unzione e quattro pannelli multicolori si sono innalzati a difenderlo dagli sguardi.

 

Sbaglia anche chi si domanda se l’incoronazione fosse necessaria o superflua. Era necessaria in quanto i precedenti passaggi dell’ascesa di Carlo III al trono (e a capo della Chiesa d’Inghilterra) non avevano ancora ricevuto consacrazione religiosa. Era superflua in quanto Carlo III era re da prima dell’incoronazione e lo sarebbe rimasto comunque; tanto che, nel 1830, Guglielmo IV si fece incoronare quasi di nascosto e regnò comunque tranquillo fino alla morte. L’incoronazione di un sovrano è il momento in cui un’istituzione umana incontra l’orizzonte sacro, scardinando le consuete contrapposizioni razionali: quindi fa piangere e fa ridere, è superflua ed è necessaria. Ridurla al metro di giudizio del quotidiano significa porsi come il principino Louis, che non capendo la vastità dell’evento sbadiglia, si distrae, indica, sghignazza e fa i capricci. Lui però ha cinque anni; e voi?

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