Sfilata di partigiani (foto Olycom) 

Bandiera Bianca

Anche "Bella ciao" ha la sua cancel culture

Antonio Gurrado

La decontestualizzazione del canto partigiano ha finito per svilirne la portata semantica. A pochi giorni dal 25 aprile, è stato definito "divisivo" dal sindaco di un paese del Mantovano, che ha chiesto di non farla cantare ai bambini. Al suo posto? "Va Pensiero"

E così “Bella ciao” è divisiva, almeno stando alla motivazione con cui il sindaco di un paesino del Mantovano ha chiesto alla scuola locale di non farla cantare ai bambini durante la cerimonia per la Liberazione. Sintetizzando, dunque, possiamo individuare un percorso siffatto: affermatasi nell’ambito di un contesto storico-ideologico ben definito, la canzone si è via via svincolata dal proprio significato letterale per assumerne uno più vasto e metaforico (ad esempio quando Michele Santoro l’ha cantata in diretta nel mezzo di uno studio televisivo attonito) e di lì ha intrapreso una repentina discesa verso la commercializzazione decontestualizzata, che l’ha resa hit da serie tv (“La casa di carta”) e paccottiglia da merchandising (le conseguenti magliette con “Bella ciao” stampato sotto la maschera di Dalì).

 

Ergo, così deprivata di senso e contesto, la canzone è arrivata sulle labbra di bambini inconsapevoli grazie all’impegno di maestri volenterosi che ne hanno conservato la musica sostituendo però alle parole un testo inglese di generico ambientalismo; se non che, ta-dàm, il contenuto storico-ideologico è stato ripescato in un agone politico che impone di fatto uno dei seguenti provvedimenti alternativi: la sostituzione della canzone con un’altra meno divisiva; l’individuazione di una canzone di segno opposto da cantarsi come contrappeso; l’eliminazione tout court dell’esibizione canora e fors’anche della cerimonia. Insomma, a “Bella ciao” è capitata la stessa sventura che già era toccata, che so, a “Tu scendi dalle stelle”; ed è interessante vedere oggi il 25 aprile trattato alla stregua di un qualsiasi 25 dicembre.

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