Michelle Obama (LaPresse)

Bandiera Bianca

La pandemia una benedizione? Michelle Obama, parliamone

Antonio Gurrado

Ci sono tre motivi per pensare che tutto ciò che il virus ha comportato nelle nostre vite sia in qualche modo una buona notizia. Uno è considerare gli eventi alla luce delle loro conseguenze

Ve la ricordate Michelle Obama? Al momento sta propagandando nelle scuole l’uscita dell’edizione per bambini della propria autobiografia e, presentandola alle ragazze di due istituti londinesi, ha detto che la pandemia è “a great blessing”, una gran benedizione. Ci sono tre interpretazioni possibili di quest’affermazione forte. La più superficiale è: quando sei stata abituata a monopolizzare i notiziari di tutto il mondo perché hai piantato un orto, poi cerchi di riguadagnare attenzione con qualche frase a effetto. La più psicologica è: si tratta della cieca ottusità degli ottimisti, che devono sempre trarre qualcosa di buono dalle disgrazie. Michelle Obama ha detto alle ragazzine che la pandemia è una gran benedizione – anche se nessuno, ai primi dati sui contagi, ha reagito dicendo: “Che culo!” – poiché le preparerà a superare difficoltà impreviste. Spiace che la nostra generazione non sia stata fortunata abbastanza da venire bombardata durante la seconda guerra mondiale, sterminata dal colera, affettata dai sanculotti, sconquassata dal terremoto di Lisbona, congelata dalla glaciazione secentesca: c’era il rischio che restassimo impreparati per sempre.

 

La terza interpretazione è, per così dire, la più filosofica. Michelle Obama ci invita a considerare gli eventi non di per sé ma alla luce delle loro conseguenze a lungo termine. La pandemia è una gran benedizione, quindi, perché porta alla consapevolezza. Le guerre sono una gran benedizione perché portano alla ricostruzione. Le dittature sono una gran benedizione perché portano all’amore per la libertà. Invece gli otto anni di suo marito alla Casa Bianca devono essere stati una gran disgrazia, perché hanno portato a Donald Trump.

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