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Insegnare in Inglese non nasconderà il vuoto intellettuale della nostra civiltà

Antonio Gurrado

Quei professori che si azzuffano per decidere quale lingua usare nelle aule universitarie. Ma il vero problema è che non abbiamo più niente da dire

Madame de Staël sosteneva che per parlare delle idee ci vuole il Tedesco ma che per parlare delle persone ci vuole il Francese; il tutto più di duecento anni fa, in un'epoca in cui le università ancora concionavano in Latino ma l'opinione pubblica già veniva formandosi su riviste in Inglese. Avevo appreso con entusiasmo la notizia che, in una libreria milanese, fosse quasi scoppiata una rissa durante una presentazione e già salutavo con entusiasmo il ritorno del fervore intellettuale: se proprio bisogna arrabbiarsi col prossimo, è più nobile farlo su questioni astratte piuttosto che sul reddito di cittadinanza, sul var o sul parcheggio. Poi però ho scoperto che a trascendere è stato un dibattito fra fautori dell'insegnamento universitario in Inglese e difensori della didattica in Italiano, che si sono azzuffati sulla lingua in cui insegnare i medesimi argomenti, con professori che si accanivano contro politici o viceversa e coniugi che intervenivano a difendere le categorie a seconda. Corollario alla massima di Madame de Staël, ho desunto che una civiltà litiga sulla lingua in cui esprimersi solo quando non ha più né persone né idee di cui meriti parlare.

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