L'idea stiracchiata e svenduta su cui Celentano ha costruito Adrian

Il mistero che ammanta lo show/serie/cartone animato/sermone virtuale in onda da stasera su Canale 5 è necessario, anzi funzionale all'intrinseca prevedibilità dei contenuti

Antonio Gurrado

Il mistero che ammanta “Adrian” - lo show/serie/cartone animato/sermone virtuale in onda da stasera su Canale 5 - è necessario, anzi funzionale all'intrinseca prevedibilità dei contenuti. Che, stando al trailer diffuso, ruotano attorno a questa contrapposizione: l'uomo è felice fino a che “dice io sono; poi l'uomo disse io ho e nacque l'infelicità”. Di là dal tradizionale contorno ambientalista, sentimentale, irenista, populista e ignorantista di cui Celentano storicamente grava monologhi e silenzi, il fulcro è questo. Risale a una provocazione congetturale di Rousseau (1755: “Il primo uomo che ebbe l'idea di proclamare questo è mio è stato il vero fondatore della società civile: quanti delitti, quante guerre, quanti assassinii si sarebbero risparmiati”, eccetera) passa da una boutade malintesa di Proudhon (1840: “La proprietà è un furto”) e plana sull'alternativa secca divulgata da Erich Fromm per gli animi semplici: “Avere o essere?” (1977). In due secoli e mezzo quest'idea è stata stiracchiata, sgualcita, annacquata, contaminata, popolarizzata, sputtanata, svenduta; se nel 2019 qualcuno pensa che portarla sulla tv commerciale possa destare scandalo o interesse, vuol dire che crede che in fin dei conti Marx fosse un ottimista. La storia accade la prima volta come tragedia e la seconda come farsa, diceva infatti; la filosofia, invece, prima o poi degenera in colpo di genio di Celentano.

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