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L'errore di fondo nella scelta di leggere il Diario di Anna Frank prima delle partite

Antonio Gurrado

E' sbagliato credere che, con la sola lettura stentata di poche righe in diretta tv, si possa convertire migliaia di tifosi e milioni di poltroni, come di fronte a una formula magica a pronto effetto

Non sarà stata questione di (per citare Lotito) cultura noumenica, ma la trovata di far leggere un brano del “Diario” di Anna Frank sui campi da calcio si è basata su un ragionamento sbagliato: reputare che la malvagità sia frutto dell’ignoranza e che la lettura migliori le persone. Il motivo per cui abbiamo visto i capitani della serie A portare, assieme al gagliardetto, un oggetto incongruo quale la bella edizione Einaudi di Frediano Sessi, o la bellissima edizione Bur di Matteo Corradini, è che si ritiene il libro un oggetto totemico, la cui sola presenza basti a produrre effetti sociali di vasta scala. Il libro viene così trattato alla stregua di volantino, tanto più che la nostra pigrizia porta a ritenere che l’infarinatura sia sufficiente alla rivelazione: si crede che, con la sola lettura stentata di poche righe in diretta tv, si riesca a convertire migliaia di tifosi e milioni di poltroni, come di fronte a una formula magica a pronto effetto. È un uso svilente dei libri, dell’editoria, della scrittura; un uso da ingenui nel migliore dei casi, da ignoranti nel più verosimile. Su quest’uso si fonda però tutta l’educazione di cui vengono ingozzati i ragazzi con letture contro il razzismo, contro la mafia, contro l’omofobia, contro la violenza, come se a estirpare il male radicale bastasse una gragnola di compiti a casa: nessuno però si chiede come mai, dopo decenni di pagine edificanti imposte agli insipienti, la società anziché incielarsi regredisca. Sarà forse perché in Italia la lettura è (sempre per citare Lotito) una sceneggiata.

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