Perché la divisa unisex a scuola è l'antidoto all'uniformazione collettiva

Antonio Gurrado

La Priory School di Lewes ha scelto, come molte altre, di fare indossare un’unica divisa per gli alunni, sia a maschietti sia a femminucce. Ed è una decisione condivisibile

Ben venga la divisa unisex imposta ai nuovi alunni della Priory School di Lewes. Come da tradizione inglese, anche questa scuola del Sussex prevede che gli studenti si presentino a lezione in uniforme, con lo scopo statutario di “distinguere il tempo dello studio da quello del divertimento; preparare gli alunni al dress code richiesto nella vita lavorativa; non far sentire gli alunni giudicati in base all’abbigliamento; fornire un abito pratico per l’uso quotidiano e non determinato da mutamenti nella moda”. Tutto giusto, tutto condivisibile. La scelta di far indossare da questo mese ai neoiscritti un’unica divisa per maschietti e femminucce – camicia, cravatta, maglioncino col logo e pantaloni lunghi, con le dovute variazioni stagionali – è stata adottata in ottemperanza alle richieste dei genitori, pare, preoccupati che i propri figli venissero incanalati in opzioni pregresse proprio nell’età, decisiva ai fini della definizione della propria identità sessuale, che va dai sette anni all’adolescenza.

 

La motivazione è discutibile ma gli effetti saranno benefici. La via tracciata dalla Priory School dimostrerà infatti che la smania di garantire a ciascuno la piena libertà di definire a soggetto il proprio genere non porta alla differenziazione degli individui ma all’uniformazione collettiva; e che l’arbitrarietà del solipsismo è l’esatto contrario della libera scelta. Ben venga la divisa unisex: è un piccolo male per un grande bene.

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