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Il grave problema, e la perdita di tempo, di non saper più "scrivere di corsa"

Maurizio Crippa

Gli studenti a Cambridge non usano più la biro. La zucca ne risente

Scoprire che a un professore su tre, all’Università di Cambridge, è capitato di trovare degli emoticon nei compiti d’esame degli studenti spiega perché, quando fuggono all’estero, i “cervelli” italiani hanno così facilmente successo. Ma fa riflettere. Racconta il Daily Telegraph che Cambridge in futuro potrebbe permettere agli studenti di usare pc e tablet per gli esami scritti, anziché carta e penna. Perché le giovani generazioni non sanno più scrivere a mano. Né tanto meno nella forma che si chiama corsivo, nata secoli fa nelle cancellerie italiane per “andare di corsa”, appunto, cioè per essere più veloci nella scrittura: niente, finisce spesso che il compito risulta “illeggibile”.

 

A mano, inutile negarlo, non scrive quasi più nessuno. Nemmeno chi non è propriamente un nativo digitale. Ma quel che sta accadendo è interessante. Quasi tutti i bambini che arrivano oggi a scuola, spesso già alla materna, sanno usare un device digitale. Sanno leggere e scrivere in stampatello, ma soprattutto digitare. Molti insegnanti e pedagogisti ritengono che riportarli ai puntini e alle aste, alla carta e alla matita, sia un’inutile tortura cinese. Costringerli a imparare lo stampatello maiuscolo, un male necessario. Ma il corsivo. Il corsivo, suvvia, è puro sadismo grafico. Sostengono che sia la forma meno semplice da imparare, soprattutto per chi manifesta “disturbi dell’apprendimento”. E’ ritenuto un sistema di scrittura non solo arcaico, ma faticoso da usare.

 

In molti paesi – la Finlandia o gli Stati Uniti – questa fatica è bandita. Ma anche nella scuola italiana si parte di solito dallo stampatello e il corsivo viene ultimo. La modernità è la modernità, e se un giorno all’università i vostri figli risponderanno ai test con gli emoji, che problema sarà? Il problema, in realtà, c’è. E basterebbe chiedere a una maestra elementare, o leggere quel che dicono, da anni, gli esperti. La tecnica di legare le lettere le une alle altre, possibilmente staccando la penna (allora d’oca) il meno possibile dal foglio, fu creata nel tardo medioevo allo scopo di scrivere in fretta. Non era né una questione “espressiva”, l’unica funzione che oggi di fatto le riconosciamo, e nemmeno una tecnica mnemonica. Ma oggi tutti gli psicologi, compresi quelli che ritengono “troppo difficile” insegnare il corsivo, sono concordi nel ritenere che imparare a scrivere in questo modo sia comunque un passaggio cognitivo essenziale. Poiché consente di meglio imparare a coordinare alcune facoltà – quella visivo-spaziale, quella di controllo sul movimento – e di meglio connetterle a una suono, a un concetto, quindi a un’astrazione. Insomma il corsivo aiuta a legare le idee, ne trasmette meglio i significati, aiuta a pensare, a memorizzare. Mentre invece utilizzare soltanto lo stampatello rende alla fine più faticosa anche la fluidità di lettura, cioè la capacità di sintesi. Federico Bianchi di Castelbianco, psicologo che da anni studia questi problemi, sostiene che la perdita del corsivo sia addirittura che alla base di molti disturbi dell’apprendimento, una causa invece che un effetto: “Scrivere in corsivo vuol dire tradurre il pensiero in parole, in unità semantiche”, dice, “scrivere in stampato vuol dire invece sezionarlo in lettere, spezzettarlo, negare il tempo e il respiro della frase”. Comunicare con gli ideogrammi, persino con quella loro forma per così dire dell’età involutiva quali sono gi emoticon sarà sempre più il futuro. Ma non saper scrivere “di corsa”, non è detto che velocizzi anche il pensiero.

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"