Tra gender e classismo, nel Regno Unito scoppia la guerra del grembiule

Stefano Basilico

Nelle scuole di Inghilterra e Galles genitori e alunni sono sul piede di guerra contro l'imposizione delle divise per i ragazzi. Il paradosso della working class che si ribella contro l'idea di uniformità

In leggero anticipo rispetto ai coetanei italiani, gli studenti britannici sono tornati sui banchi di scuola qualche giorno fa. Se oltremanica il dibattito sui vaccini è coperto da un velo di buonsenso, ce n’è un altro che fa infuocare presidi, genitori e studenti: la maggior parte degli istituti richiede ai propri allievi di indossare una divisa. Generalmente devono essere di colori scuri e uniformi (blu, nere o grigie), composte da un blazer o un maglione con il logo scolastico, una camicia bianca con cravatta, un paio di pantaloni sobri e delle scarpe formali. Nella maggior parte dei casi i presidi rilasciano delle linee guida e le famiglie possono acquistare i vestiti per i pargoli dove preferiscono, a seconda del proprio budget. Regole e interpretazioni restrittive, però, causano spesso malumore tra i genitori. Alla Leeds West Accademy in West Yorkshire, ad esempio, il primo giorno è stato caratterizzato da ben dodici studenti messi in punizione in isolamento per non essersi attenuti alle istruzioni. A un’allieva è stato fatto notare che i suoi pantaloni erano “troppo elastici” e non avevano una zip o un bottone, come richiesto dal regolamento. Il preside ha ringraziato “la maggioranza degli studenti che hanno seguito le linee guida” e ha ricordato “il senso di orgoglio” attribuito dalla divisa che sottolinea i “valori di unità e uguaglianza”. A Sheffield una studentessa è stata mandata a casa perché sì, le scarpe erano nere come da regolamento, ma erano scarpe da ginnastica. Simile storia in Cornovaglia, dove un padre ha minacciato di ritirare il figlio da scuola finché le sue Nike Air Force 1 non verranno accettate come parte dell’uniforme scolastica.

  

 

In Galles si è aperto un altro caso perché una scuola ha imposto divise da acquistare presso un unico fornitore (al costo di 97 sterline) contro le linee guida del governo locale, che vuole sì criteri di uniformità, ma con la possibilità di acquistare presso diversi negozi. Nel 2007, sempre in Galles, gli studenti puniti diedero luogo a una protesta singolare, dando fuoco ai propri blazer nei pressi della banchina degli autobus.

 

A questi casi se ne aggiungono altri, di natura ancora più delicata e legata all’identità sessuale più che allo stile personale. Molti istituti hanno iniziato a permettere ai propri studenti maschi di indossare una gonna (i pantaloni per le studentesse sono più comuni). In alcune scuole si è andati oltre, con l’imposizione di una divisa gender neutral e punizioni per le alunne che si sono presentate in aula in gonna. Un caso di cerchiobottismo, visto che molti presidi hanno utilizzato questo stratagemma non solo per includere gli studenti transgender, ma anche per sbarazzarsi delle lamentele sugli abiti succinti delle ragazze, come avvenuto in una scuola del Sussex.

 

Tra minacce di cause legali e genitori che vogliono cambiare scuola ai figli, c’è uno scontro più ampio che riguarda tutta la società britannica. E' quello tra tradizione e modernità, che si interseca con la questione di classe, che vede la working class abbracciare costumi più rilassati rispetto ai formalismi della fetta di cittadinanza più conservatrice. Un fenomeno che si allarga ai genitori. Le “pijama mamas”, esaltate da uno spot televisivo della Vauxhall (Opel), sono state bandite da alcune scuole per essersi presentate, appunto, in pigiama ai colloqui con i professori, mentre nelle banche, negli uffici e anche tra gli stessi docenti si abbraccia sempre più volentieri uno stile casual. Un paradosso, se si pensa che le divise ormai più che per tradizione sono utilizzate per uniformare gli studenti, evitando che i ricchi sfoggino abiti firmati.

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