Perché non ci si può fidare dell'appello dei 400 sulle unioni civili

Antonio Gurrado
Letta e riletta su più fonti, la letterina dei quattrocento intellettuali in favore delle unioni civili contiene un neo che ne pregiudica il valore ben più del sospetto che, in fin dei conti, sottoscrivere proclami all’avanguardia convenga a scrittori e registi e attori e cantanti per due motivi.

Letta e riletta su più fonti, la letterina dei quattrocento intellettuali in favore delle unioni civili contiene un neo che ne pregiudica il valore ben più del sospetto che, in fin dei conti, sottoscrivere proclami all’avanguardia convenga a scrittori e registi e attori e cantanti per due motivi. Da un lato infatti blandiscono il pubblico progressista, che finanzia buona parte del mercato culturale e che quindi, rafforzato nelle proprie convinzioni, ricambierà rafforzando il proprio impegno all’acquisto dei prodotti dei quattrocento intellettuali; dall’altro lato intimoriscono il pubblico refrattario o conservatore che, di fronte a quattrocento intellettuali schierati compatti sul versante opposto, viene percorso dall’atroce dubbio di essere troglodita.

 

Tuttavia il motivo per cui non ci si può fidare della letterina è elementare, Watson: scrivono che “accorgersi di un’ingiustizia e correggerla a metà, significa perpetuarla”. Sospetto che equivochino il verbo utilizzato in luogo di “perpetrare”, ossia commettere un’ingiustizia, senza accorgersi che “perpetuarla” significa renderla eterna, cosa che nemmeno il più presuntuoso e strampalato dei ddl ha possibilità di fare su questa terra. Saranno intellettuali, ma firmano distrattamente. Non ho voglia di fare lezioncine, mi domando solo se sia giusto che chi non è in grado di distinguere ciò che è ingiusto (perché perpetrato) da ciò che è eterno (perché perpetuato) blateri di leggi, amori o sacramenti.

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