I radiohead (foto LaPresse)

L'addio dei Radiohead dai social non c'entra niente con la retorica moralista della disconnessione

Manuel Peruzzo
La band inglese elimina la sua presenza online e i media fanno a gara per rintracciarne significati anti-digitali e anti-modernisti. La verità è che si tratta di soldi e marketing. Il filone letterario della disconnessione felice ha ormai stancato.

La notizia è che i Radiohead hanno eliminato la loro presenza online. Hanno progressivamente opacizzato il proprio sito (se ne è accorto un nerd su Reddit), cancellato tweet e status; hanno addirittura cambiato l’immagine profilo: una foto bianca che ha già raggiunto 54 mila like e 3560 condivisioni, che è una resa niente male considerato il nostro sforzo per far bella figura accontentandoci di molto meno. Chiunque dotato di buon senso non s’immagina Thom Yorke passare le notti a raschiare da internet i propri tweet: persino il radicale street artist Blu delega ai centri sociali il lavoro sporco. Ci sarà una società incaricata di ideare una campagna di lancio di un nuovo disco, e quindi, orrore e raccapriccio, del marketing dietro a questa faccenda (perché i dischi si vendono, anche quando chiedi un’offerta libera, e i tour non sono gratis). Ma guai a chiamarlo così, è “puerile” come scrive Iacoboni su La Stampa, ché gli artisti non fanno marketing: fanno concept album.

 

Per i fan sarà sempre più rassicurante pensare che sia un concettualissimo “mi si nota di più se svanisco gradatamente”, un messaggio luddista anti-tecnologico, l’auto-citazionismo lirico e onirico di “How to disappear completely”, il fastidio del peso d’una mal portata celebrità (e ti verrebbe da dire che se ti danno fastidio i fotografi dovresti evitare di fare la principessa, l’attore o il musicista), o che ci indicano la via del web invocando il diritto all’oblio (se lo fa un americano come Prince è tutta questione di diritti d’autore per rifare le piastrelle zebrate in bagno, se lo fanno gli europei è perché il web ruba l’anima all’artista). L’importante è che non si dica che è per soldi, puah, o per intrattenerci: dev’esserci certamente un messaggio profondo per corrispondere alle aspettative dei fan. E’ facile credere che siano tutti convinti delle battaglie di retroguardia artistoidi, ma è più difficile sostenere che siano preferibili come autentica espressione artistica in opposizione all’industria dell’intrattenimento.

 

Ma torniamo alla notizia: sono svaniti veramente? La risposta è: ovviamente no. Il primo effetto dell’assenza dei Radiohead su internet è che su internet tutti parlano dell’assenza dei Radiohead.

 

Disconnettersi e cancellare le proprie tracce sono due cose diverse, ma c’è una retorica comune nella riappropriazione del tempo rubato e della propria identità. Qualche tempo fa andava di moda il filone letterario della disconnessione felice. Il digital detox, ovvero staccare il router per poi riaccenderlo e raccontare su internet la propria impareggiabile esperienza. Un ritorno alla vita vera, quella dove si impara a convivere con la noia, come dice quel gran moralista di Louis C.K ripetendo in altre parole la paura della solitudine e dello spazio vuoto degli iperconnessi descritti da Michael Harris in “The end of absence”. Uno dei primi è stato Paul Miller di The Verge: un anno offline. All’inizio leggeva di più, non si interrompeva nelle conversazioni per controllare le notifiche, finiva per fare esperienze nuove ed è persino dimagrito. Poi la scoperta: si è rotto i coglioni.

 

C’è sempre uno studio autorevolissimo dell’Istituto della felicità della Danimarca, o magari di uno di quei bei paesi scandinavi dove il tasso di suicidio è altissimo, che ci dice quant’è distorta la realtà online e quanto rende felici e sereni essere offline. Che è come quei consigli che si davano all’inizio del secolo scorso agli stressati dai troppi stimoli delle città: “Andate in campagna”. Ce li si può immaginare tornare a casa con la nostalgia del rumore delle cose, quello che assomiglia alla vita.

 

Teoricamente, nell’idea dei disconnessi, si dovrebbe tornare a sorridere alle persone in metropolitana, commuoversi al sorriso di un bambino (meglio se povero e senza nessun motivo per ridere), curiosare in libreria (magari acquistando i libri di chi ti dice quant’è bello essere disconnessi); nella realtà si finisce probabilmente a fissare i lavori per strada, a fare file interminabili per vedere le lavatrici nuove nei centri commerciali, a leggere meno. Si sogna la pace dei sensi e si finisce in un editoriale di Concita De Gregorio. Miller ha scoperto che se un amico si trasferiva non poteva più parlarci (incredibile eh?), le informazioni arrivavano tardi e male, e si ritrovava a vivere in un mondo dove esperienze offline e online sono connesse a tal punto che se ti privi dell’una vivi peggio anche l’altra.

 

Per un po’ di tempo ho fatto il pendolare a Rovello Porro e mi andava fuori campo il cellulare. E pensavo che la provincia lombarda fosse il luogo ideale di una gita per gli scrittori culturali con la nostalgia della noia: viaggio al termine del 4G a Rovello Porro. O se si vuole fare i colti si può andare nella Nosadello di Mirko Volpi e trovare “No alarms and no surprises/Silent, silent”, e balle di fieno.

 

A volte sospendere il feed è utile, ma non per abbracciare la noia ma perché ci si annoia dell’eccesso di comunicazione. “Everything not saved will be lost” era il messaggio che appariva a noi giocatori di Nintendo degli anni ‘90 oggi ribaltato nel suo opposto: tutto ciò che non cancelli sarà salvato. In alcuni periodi si sente il bisogno di essere meno presenti, sospendere le notifiche, risparmiarsi il commento sagace, silenziare il brusio di notizie di cui non ci importa e non lasciare continue tracce in cronologie che sanno la verità su di noi. Non è che si sta meglio in assoluto, si sta bene quando se ne sente il bisogno. Non sappiamo quantificare la domanda ma sappiamo che esiste dall’esistenza di una vasta offerta: Facebook ha pensato a una funzione apposita per disattivare il proprio profilo senza cancellarlo e proliferano app per un mercato del web effimero, o per non lasciar traccia (da Tor in giù).

 

Inutile farsi illusioni: non si sparisce mai completamente, soprattutto se hai quasi 12 milioni di utenti informati del fatto che hai cambiato foto profilo. I Radiohead sono come quelli che si levano dai social ma poi sai che torneranno per essere festeggiati. Resta da capire in quale modo. Nel 2016 o pubblichi un album impegnato o muori. Bowie ha fatto entrambe le cose. I fan dei Radiohead a questo punto stanno aspettando o la data di un nuovo tour o un funerale commemorativo, su Facebook ovviamente.

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